mercoledì 13 agosto 2014

MITI, SUICIDI E COGLIONI

Sono i miti per eccellenza della nostra epoca: ricchezza e successo.
Anzi, nell'ordine, prima il successo e poi la ricchezza.
Essere in cima alla piramide o, per lo meno, avere un posto al sole. Arrivare in TV, vedere le proprie foto sui giornali, il proprio nome nelle classifiche.
Sono miti diffusi e pervasivi al punto che la maggior parte di noi, nel suo piccolo, sul palcoscenico dei social network, gioca alla celebrità, si fotografa, si racconta, si presenta al meglio, o magari al peggio, se pensa che questo lo renda "figo", anticonformista, personaggio.
Nel mondo in cui viviamo chi non ha apparenza sente di non avere sostanza. Di non esistere.
E quella di non esistere è la peggiore delle sensazioni. Ben lo sa il bambino per il quale essere ignorato dai genitori è il peggiore dei castighi. E, infatti, non a caso, cosa insegna la perfida Tata dell'omonimo programma TV ai genitori loffi che implorano un metodo per gestire bambini ingestibili? Quando fanno i capricci ignorateli. Alla fine smetteranno e torneranno con la coda tra le gambe. Sembra una cosa civile, non violenta. Ma certe volte mi chiedo se lo scapaccione sul sedere utilizzato dai nostri genitori non realizzasse lo stesso risultato provocando, nel complesso, meno sofferenza ai bambini.
Lasciando da parte i miei dubbi montessoriani e tornando ai miti dei nostri giorni, non ho difficoltà a confessare che nei miei sogni babbei da scrittore sconosciuto di mezza età ogni tanto anche io mi chiedo come sarebbe se imbroccassi un libro di successo e diventassi, non dico ricco, ma un po' meno povero e non dico famoso, ma non più del tutto sconosciuto.
Sono sogni troppo radicati nel nostro subconscio, anche in quello degli ex giovani, per non ammaliare con canto di sirena gli Ulisse di tutte le età.
Poi arrivano notizie come quelle del suicidio di Robin Williams.
Uomo ricco e famoso. Uno che in cima alla piramide c'era stato un sacco di volte. Uno che non solo aveva un posto al sole, ma si era abbronzato a lungo.
Come accidenti succede che uno che ha realizzato il sogno della maggior parte degli altri uomini cade in depressione, arriva a distruggersi di alcool e alla fine si strozza con una cintura?
Era lui un coglione che non ha saputo apprezzare la fortuna che gli è capitata (o che si è conquistata, fate voi) o forse invece coglioni siamo un po' tutti, perché ci facciamo abbagliare da specchietti per le allodole, perché ci lasciamo abbindolare da falsi miti?
Se è così allora coglione sono io per primo, con i miei sogni consolatori da aspirante scrittore famoso, che si vede intento a bere alla canna la bottiglia di Strega all'esito vincente del ben noto premio-vetrina per scrittori-che-pensano-di-essere-fighissimi.
Successo e fama. Soldi e foto sui giornali. Essere riconosciuti e applauditi. Sentirsi su un livello più alto, lontano dai limiti e dai problemi della vita di tutti i giorni.
Fuffa. Puttanate.
Il suicidio di Robin Williams come di tanti altri personaggi di successo (tanti, proprio tanti, troppi…) viene a dirci con un'evidenza ben maggiore del canto di qualsiasi sirena che successo e fama sono solo sovrastrutture, sono qualcosa che arriva e non ti cambia nel profondo, non ti trasforma in un Superman con superpoteri, non guarisce le tue ferite, non risolve i tuoi dubbi, non cancella le tue sconfitte, non amplia i tuoi orizzonti, non aumenta il tuo quoziente intellettivo, non ti fa più furbo, non ti rende meno stronzo.
Un coglione quando raggiunge la fama e il successo non diventa un genio.
Diventa solo un coglione famoso.
E la fama non è garanzia di talento. Oggi diventano famosi anche mister e miss nessuno che si sono trovati davanti alla telecamera giusta al momento giusto. Una fama e un successo sempre più effimeri, sempre meno significativi, sempre più frutto del caso.
Lo dico soprattutto ai ragazzi dell'età dei miei figli, ben sapendo che la mia è una voce debolissima che i reality idioti di MTV subisseranno senza sforzo, con una singola inquadratura del culo della decerebrata urlatrice di turno che si rotola di soddisfazione per essere riuscita ad acchiappare il suo quarto d'ora di "celebrità" a costo di tutta la dignità avuta in dote in qualità di essere umano.
Ragazzi suonate prima di tutto perché vi piace suonare, recitate perché vi piace recitare, scrivete perché vi piace scrivere, tirate calci a un pallone perché vi piace giocare.
Trovate piacere nelle cose che fate.
Il resto è fuffa, fuffa, fuffa.
Puttanate, puttanate, puttanate.
Chi guadagna producendo film, musica, libri, dirette televisive, campionati di calcio, vi prende e ci prende per il culo. Alimenta in tutti i modi l'illusione che la fama e il successo siano i sinonimi della parola felicità. Perché il mondo dello spettacolo e dello sport è un tritacarne che per funzionare e produrre soldi ha bisogno di carne da cannone. E la carne da cannone siete voi.
Per arrivare in cima alla piramide bisogna sacrificare tutto, è questo che ci ripetono. Ci convincono che il sacrificio vale la pena perché in cima alla piramide c'è il sole. Ma quando si arriva si scopre, regolarmente, che il sole è grandissimo e molto vistoso, ma fatto di cartone, che tutti i nostri limiti e i nostri problemi ci hanno seguito, come cani fedeli, anche là in cima, e che quello a cui abbiamo rinunciato è esattamente quello che, da quel momento in poi, ci mancherà e ci impedirà di essere soddisfatti.
È quello che in cima alla piramide hanno trovato Marilyn Monroe, Ernest Hemingway, Luigi Tenco, Kurt Cobain. E qualche giorno fa anche Robin Williams.
L'importante è la passione. Il piacere che si ricava dallo scrivere, suonare, recitare, segnare un gol.
Il successo, se mai dovesse arrivare, è un accessorio. Oserei dire quasi "un male necessario", che si trovano talvolta a subire quelli particolarmente bravi.
Tenetevi stretti i sogni, le vecchie chitarre, gli amici, i padri e le madri (se non sono troppo rompiscatole), il vostro cane, il vostro posto speciale in riva al mare o sulla panchina di un vecchio giardino. Non sacrificate niente di tutto questo per scalare nessuna piramide.

Le piramidi lasciatele ai faraoni. Che, per quanto si siano sbattuti da vivi per farle costruire, sono morti lo stesso e oggi sono ridotti a macabri soprammobili nelle teche dei musei.



lunedì 28 luglio 2014

CHE IDEA FICHISSIMA!!! (O NO?)

Cosa passa nella mente di uno scrittore mentre lavora a un nuovo romanzo? Procede deciso e incrollabile come un treno o è ogni momento preda dell'ansia e dell'incertezza? Difficile generalizzare.
Quella che segue è una ricostruzione volutamente esagerata, caricaturale.
Eppure sono convinto che, almeno in parte, ogni autore potrà un po' riconoscersi ;-)




CHE IDEA FICHISSIMA!!!


Lunedì 2 febbraio. Notte.
Che idea! Che idea fichissima! Ma vi rendete conto cosa esce da questo cervello? Ma vi rendete conto?
Certe volte mi stupisco pure io. Cioè il cervello è mio, ma anche a me sembra impossibile che mi vengano fuori certe genialate. Sono troppo forte!
Ma poi in modo in cui sono riuscito a scriverla! Che efficacia, che stile, che ritmo!
Gli americani con tutti i loro investimenti pubblicitari mi fanno un baffo. Due baffi. Barba e capelli mi fanno, per non dire altro, che non sono un tipo volgare io e non mi lascio andare a facili battute… Vabbè: una pippa! Ecco cosa mi fanno a me gli americani, una formidabile pippa, e lasciatemelo dire, che quando ci vuole ci vuole.
Adesso lo lascio qui sopra, al centro esatto della scrivania, il mio fantastico manoscritto.
Domani mattina, quando mi sveglio, lo voglio ritrovare qui a aspettarmi, voglio riprenderlo tra le mani e rileggerlo per sentire di nuovo che…


Martedì 3 febbraio. Mattina
Che cagata! Che illeggibile cagata! Ma vi rendete conto di quali cazzate escono fuori da questo cervello bacato?
Certe volte non credo ai miei occhi. Se almeno fossi uno che beve e si sbronza, uno che si droga, potrei dire che ero ubriaco o strafatto mentre scrivevo.
Che banalità, che sciatteria, che pesantezza. Sono il peggiore scribacchino della galassia.
Neanche le stringhe delle scarpe gli posso legare io agli americani. Quelli sì che sanno scrivere romanzi avvincenti. Deve essere una cosa genetica, qualche cromosoma che mi manca.
Adesso lo prendo e lo butto nel cestino questo ammasso di carta inutile. Anzi no, mi dispiace sprecare tutti questi fogli. Facciamo così, li giro a faccia in giù e li lascio qui per usarli sul retro, che è bianco.
L’importante è che non mi ricapiti più di lo sguardo su questo orrore che…

Venerdì 6 febbraio. Pomeriggio
Che poi non è così male a guardare bene.  C’è di peggio in giro. Cioè il romanzo di quello che ha venduto un sacco questa estate, coso, che manco mi ricordo come si chiama, cosa aveva di tanto particolare? Solo perché è americano?
Sì, insomma, qualche espressione è troppo sfruttata e forse il personaggio principale è un po’ stereotipato, ma… magari tagliando qualcosa nella prima parte… riscrivendo il finale con un ritmo più serrato…


Mercoledì 11 febbraio. Mattina
Non ce la farò mai…
Hai voglia a cambiare un aggettivo, a spostare il soggetto, a semplificare i dialoghi…
Una fiammata, ecco cosa dovrei fare. Prendere un cerino e dare fuoco a tutto!


Sabato 14 febbraio. Mezzogiorno
Così mi sembra vada meglio. Adesso scorre, non ci sono più quelle cadute di tensione che c’erano prima.
L’esperienza serve, eccome se serve. Tanti anni di scrittura, il confronto con altri scrittori, il corso di scrittura creativa. Alla fine uno acquisisce i ferri del mestiere e quando c’è da riparare i difetti di un testo sa dove mettere le mani.
Un po’ di pazienza, ancora una rilettura e…


Mercoledì 18 febbraio. Sera
E’ inutile leggere e rileggere, resta comunque una mezza cacata.
Non c’è modo di riscattare un testo che è venuto fuori mediocre, questa è la verità. Fosse servito a qualcosa quello stupidissimo corso di scrittura creativa: tempo e soldi buttati via.
Se fa schifo, fa schifo. Bisogna avere il coraggio di metterci una pietra sopra, basta. Passare avanti, buttarsi in un altro progetto. Questo è un cadavere. Cosa voglio fare? Vegliare un cadavere all’infinito?
In giardino lo dovrei seppellire questo canovaccio buono solo per farci una telenovela. Una roba per pubblico di bocca buona, ignorante, che non sa cogliere…


Domenica 22 febbraio. Pomeriggio
I nessi, i dettagli, le sfumature. Ecco la cosa migliore del romanzo.
Sono riuscito a dare al racconto quella profondità che manca agli americani, sempre così lineari, troppo attenti alla trama e poco alla qualità della scrittura. Invece senti che forza questo passaggio, senti che delicatezza, senti che…


Martedì 24 febbraio. Mattina
Che mosceria…
Il romanzo è tutto sfumature e niente sostanza, manca una storia forte, di quelle che ti colpiscono.
Gli americani sono maestri in questo. Noi non siamo proprio capaci…


Venerdì 27 febbraio. Notte
Tutto sommato… Con le correzioni che ho fatto…
Non sarà un capolavoro, ma insomma…
Mamma mia che sonno che mi è calato…


Sabato 28 febbraio. Mattina
Pronto? Casa editrice Pincopallo? Sono XY, volevo parlare con… Sì grazie, aspetto…
(musichetta d'attesa)
Pronto? Ciao, sono io. Come stai? Mi fa piacere… Io? Tutto a posto, sì….
Ascolta… Allora… ho completato la seconda stesura.
Come dici? L’impressione? Bè dai, alla fine sono abbastanza soddisfatto. Magari ci sarà da lavorare ancora un po’ ai dettagli, ma non mi sembra malaccio.
Facciamo così, te lo mando. Dagli un’occhiata con calma, quando hai tempo, e dimmi cosa te ne sembra. Io intanto stacco qualche giorno, ho bisogno di riposarmi. Cosa? Vacanze? No, che vacanze. Al massimo oggi e domani vado dai miei in campagna, tutto qua.
Spero che vi piaccia.
Ok… allora buon fine settimana.
Sì… Anche a te… Sì… a risentirci… ciao!



Che poi... quel posto di contabile...





martedì 29 aprile 2014

DA BAMBINO LEGGEVO I FUMETTI

Da bambino ho letto vagonate di fumetti.
I grandi storcevano il naso.
“Che sono quelle stupidaggini? Perché non leggi qualcosa di serio?”
Allora gli facevo notare che accanto ai fumetti leggevo Salgari, Verne, London, Twain.
Ma i grandi storcevano di nuovo il naso. E di nuovo ripetevano:
“Che sono quelle stupidaggini? Perché non leggi qualcosa di serio?”
Insomma, secondo i grandi, le uniche cose che avrei dovuto leggere erano i quotidiani e i libri di scuola.
“Se leggi quelle scemenze non imparerai mai niente! Non diventerai mai nessuno nella vita!”
I grandi avevano ragione.
Non sono diventato quello che volevano loro.
Non sono diventato ricco, non sono diventato importante.
Sono diventato solo uno scrittore.

E cioè quello che volevo diventare io.




EHI! LO SO CHE NON E' NATALE!


lunedì 28 aprile 2014

SUPER PIRLA!!!

C'è stato un tempo in cui mi divertivo a disegnare vignette...

NON LEGGI BENE? VAI DALL'OCUL... EHM, VOLEVO DIRE, CLICCACI SOPRA CHE L'IMMAGINE SI ALLARGA!

venerdì 25 ottobre 2013

EXTRATERRESTRE VS COMMERCIALISTA

Cosa penserà la gente di te?
Che sei un ebete. Chiaro. Difficile dargli torto.
Che vuoi pensare di uno che si estranea di continuo, guarda in giro, che magari, seduto al tavolo in pizzeria con una compagnia di amici, a un certo punto si perde per cinque minuti buoni a giocherellare col tovagliolo, fissando incantato, con espressione non proprio intelligentissima, i riflessi del lampadario sul bicchiere?
Un narcolettico, uno che soffre di crisi “a tempo” di autismo, che entra ed esce da un mondo parallelo, tipo Le cronache di Narnia, e senza neanche bisogno di un armadio in cui scomparire.
Tua moglie ci è abituata. Ti siede accanto a quel famoso tavolo di pizzeria e chiacchiera tranquillamente a destra e a manca, senza far caso al “coso” che gli vegeta vicino. Se ha bisogno ti interpella. Lo sa che sei abbastanza reattivo. Nel giro di uno o due secondi il tuo cervello torna a funzionare in modo normale, gli occhi si risintonizzano su questo universo e sei in grado di rispondere in modo il più delle volte sensato. E comunque sei diventato bravissimo a fare finta. Hai una buona scorta di frasi pronte, valide per tutte le occasioni tipo: “eh, beh…”, oppure: “del resto è così!”. Le volte poi in cui “atterri” troppo bruscamente, senza riuscire a ricostruire l’argomento della conversazione (che magari è cambiato quattro volte dal momento in cui hai perso contatto con il mondo), ti nascondi dietro un sorriso timido e gentile.
E’ una buona strategia. Quando sorridi in modo timido e gentile è difficile che ti diano un cazzotto in faccia. Per lo meno non a un tavolo di pizzeria.
Poi metti insieme un paio di commenti dei presenti, leggi il tono della conversazione, capti l’atmosfera generale e, tempo qualche minuto, riesci a tirare fuori un battuta neanche tanto malvagia. Gli altri ridono e si convincono che no, dai, in fondo non è così suonato. Un po’ ebete, ma non del tutto andato via di testa. Insomma ti salvi in corner.
Quello che alcuni proprio non riescono a capire è come faccia uno come te a scrivere dei libri.
Non capiscono che con un lavoro, una famiglia e un po’ di interessi sparsi, se riesci a scrivere dei romanzi è proprio per questo: perché non lo fai solo quando, nel silenzio della tua cameretta, siedi davanti al computer, ma perché scrivi invece anche dentro la testa, spesso, spessissimo, pure in mezzo al casino, persino al tavolo di una pizzeria, tra un commento su quanto è ingrassata la tale attrice e l’arrivo della “scamorza affumicata e speck” che hai ordinato. Insegui le tue storie, le giri e le rigiri, le rivolti come farina e acqua nel paiolo che, un po’ per volta, diventano polenta. Non esploderebbe mai un bel sole giallo e fumante sul tagliere di legno se non fosse stato rigirato a lungo e con amore nella pentola di rame. E così fai tu. Ogni tanto varchi il confine ed entri in quella stanza segreta dentro la testa in cui conservi le tue storie.
Ce ne sono tante, tantissime, scaffali e scaffali di storie, la maggior parte delle quali non sai nemmeno che sono lì. Le conservi senza averne consapevolezza. Sono tutte le storie lette nei libri, viste nei film, ascoltate dalla voce di mille persone incrociate nella vita. Nulla va perso, neppure quello che sembra scordato, neppure quello che non si sa più da dove venga e come ci sia arrivato su quegli scaffali. Un archivio immenso da cui si può tirar fuori di tutto. Come un’enorme scatola di Lego, con dentro pezzi spaiati provenienti da mille scatole e confezioni diverse. Una volta sono stati aerei, astronavi, macchine, case, ruspe, carri armati. Ora è tutto mescolato insieme. E’ difficile ritrovare in quel casino i pezzi necessari per rimettere insieme, per esempio, l’astronave di Guerre Stellari, ma a te non importa rimetterla insieme. Tu non sei memoria storica che ripropone quello che ha sentito. Tu sei uno scrittore. Tu peschi a piene mani in quel caos per inventarne una nuova di astronave. Un’astronave con ruote di macchinina usate come originali cannoni laser e la finestra di una villetta al posto della cabina di pilotaggio. Oppure una macchina da corsa con gli alettoni di un caccia bombardiere. Oppure una casetta senza porta da cui si entra da una botola sul tetto, come nei Pueblos di certe tribù di indiani centroamericani, prima che i conquistadores pensassero bene di spazzarli via come formiche fastidiose.
Sarà per questo lavorio frequente e sotterraneo che ti scordi date e compleanni, ombrelli e visite mediche, che salti clamorosamente uscite della superstrada e che a volte giri come un rabdomante, con le chiavi in mano, alla ricerca di dove hai parcheggiato la macchina?
Forse. O magari sono i primi sintomi dell’Alzheimer. Chissà.
Non sei proprio contentissimo: anche a te certe volte piacerebbe essere di quelli efficienti, padroni delle situazioni, organizzati, attenti, con tutto sotto controllo. Guarda ad esempio il marito dell’amica di tua moglie che ti siede di fronte al tavolo della pizzeria, che tiene banco, che sa tutto lui e quando non sa… sa lo stesso. Commercialista, con la BMW, con l’iphone, che gioca a calcetto (naturalmente tu sei una pippa a calcetto, inutile sottolinearlo), che conosce tutta la città “che conta”, che sta entrando in politica (e, comunque, fa i comizi anche quando parla di dove andare in vacanza, per cui…), che quando gli hanno detto che scrivi, l’unica cosa che ha avuto interesse a chiederti è “ma si guadagna bene?” e quando ha capito che non si guadagna una cippa ti ha cancellato dal campo visivo come se davanti a lui si aprisse una terrazza sul Gran Canyon. Da scommetterci che lui non si fa mai beccare con l’espressione beota a pensare ai fatti suoi, che non ha tempo da perdere a ragionare per un’ora se il protagonista debba avere 13 o 15 anni, con tutti i pro e i contro narrativi di questa scelta (sarà diverso il linguaggio, sarà diverso il punto di vista, sarà differente la libertà di azione…), che lui le uscite della Superstrada non le salta mai (del resto la sua BMW ha di sicuro il navigatore satellitare incorporato).
Sì, insomma, è scontato che non ti piacerebbe essere “esattamente” come lui, visto che coi tipi come lui non hai mai legato, fin dalle superiori (eh sì, spesso si capisce già alle superiori “chi è destinato a diventare cosa”), ma vorresti almeno avere una fetta della sua efficienza, del suo controllo sulla sua vita e sul mondo circostante. Essere meno sconclusionato, insomma.
Arrivano le pizze. Quella del commercialista per prima, ovviamente. Comincia a mangiarla senza aspettare “sennò si fredda”, ovviamente. La tua arriva per ultima, ovviamente, solo dopo che, al terzo timido tentativo, sei riuscito ad attirare l’attenzione del cameriere che, impietosito, è andato a perorare la tua causa presso il pizzaiolo, che si scusa per il ritardo e ti fa arrivare la tua “scamorza e salmone affumicato”. Tu avevi chiesto “scamorza e speck”, ma siccome è tardi e odi fare aspettare gli altri la prendi senza battere ciglio, ringrazi persino il cameriere per il suo poco accorto interessamento e ti sforzi di mangiarla a velocità supersonica, ustionandoti la lingua e macchiandoti la camicia. Tutto con un boccone solo.
Ovviamente il commercialista, che la sua di pizza l’ha finita da un pezzo e sbevazza un amaro fatto con ottocento erbe, probabilmente le più puzzolenti del pianeta, che ammorba l’ambiente circostante cambiando il sapore di quello che mangi (pizza scamorza, salmone e ginseng?), con la sua mente attenta ai dettagli, ricorda perfettamente che avevi ordinato una cosa diversa e ti chiede perché ti stai mangiando quella “schifezza” che non è quella che avevi chiesto? E te lo chiede, ovviamente, con un tono di voce sufficientemente alto da far interessare alla vicenda anche il tizio che guarda le macchine nel parcheggio. Tu dici che non fa niente, che ti piace anche così, ma hai non solo la faccia ma persino i risvolti della giacca rossi di vergogna, per cui risulti molto poco credibile.
Arriva il conto. Il commercialista lo acchiappa, annuncia l’ammontare al popolo e incita tutti a “cacciare” la propria quota. Tu provi a fare la divisione a mente, anche se pure in matematica sei sempre stato una pippa (quasi peggio che a calcetto), ma il commercialista batte tutti sul tempo facendo la divisione con l’iphone.
Si paga, si recuperano borse e giacconi, ci si avvia verso l’uscita, ci si saluta, si va ognuno verso la propria macchina.
Tu prendi le chiavi della tua e…
Tua moglie scuote la testa, rassegnata, poi ti prende sotto braccio e, senza dire niente, ti fa ruotare nel senso opposto a quello in cui ti stavi dirigendo e ti guida dove avete parcheggiato.
Mentre fate la strada di casa ti senti un po’ depresso.
<Che tipo il marito di Claudia…> dice a un certo punto tua moglie.
Il marito di Claudia è il commercialista.
<Eh già… uno di quelli che ha sempre tutto sotto controllo eh?> dici mogio mogio.
Lei ti guarda sorpresa.
<Tutto sotto controllo? Ma che dici! Ma se lo sanno tutti che è fallito un paio di volte e che non è vero che è un commercialista! Manco la macchina è sua, che l’hanno dovuta intestare a Claudia per non farla pignorare. Poveretta. E’ lei che lo mantiene. Io non ho mai capito perché non lo manda a cagare…>
Nella penombra che regna nell’auto, mentre attraversate i viali quasi deserti della città ormai immersa nel sonno, ti si apre lentamente sul volto un grosso e, diciamolo, un po’ perfido sorriso.
Che resta lì per qualche minuto, ad aleggiare.
Fino a quando tua moglie, con tono neutro, senza nemmeno sospirare, ti annuncia che hai appena saltato il bivio che porta a casa.


YAAAAAAAHHHHHHH!!!!!


martedì 15 ottobre 2013

A VOLTE IO

Ho conosciuto notti in cui non basta il sonno a dormire e si resta svegli a contare pensieri molesti, che ronzano nelle tempie come mosconi.

Ho conosciuto paure e tentazioni e in molte sono caduto rompendomi gli occhi e la bocca e perdendo ombrelli, orologi, ricordi e dignità nella caduta.

Sono stato eroico e vigliacco, sono fuggito e son rimasto, ho vinto e (più spesso) perduto, mi sono perdonato e (più spesso) odiato. Insomma, come molti, non mi piaccio, ma mi sforzo…

Consapevole delle mie debolezze (che è la mia unica forza) ho navigato in acque impervie, ribollenti di schiuma, inganni, rabbia e trabocchetti e ancora navigo, a volte a vista, a volte col radar del buon senso, a volte con la follia dell'attimo, a volte con la stanca disillusione dei vecchi, che salva dai grandi errori, ma è come essere già morti…

Non ho coraggio di puntare il dito e non cesello pagliuzze negli occhi altrui, perché come unico dono ho quello di vergognarmi delle travi che ornano i miei.

A volte io vorrei abbracciare, ma non sono mai stato bravo a farlo (magari l’altra pensa… magari l’altro crede…) e allora non abbraccio e resto lì a sorridere da lontano come il più cretino dei cretini… E probabilmente lo sono.

A volte io ho la presunzione di capire, di avere antenne più potenti e occhi a raggi X portentosi (nonostante i tic nervosi…) e orecchi e cuore, ma soprattutto cervello… E magari a volte è anche vero, ma spesso non lo è, e comunque non è così importante e anzi, magari, non serve a niente…

A volte io vorrei dar consigli, specialmente quando incrocio sguardi gravidi di lacrime represse, quando ascolto frasi che tagliano e fanno male. Ma poi penso " per dire cosa… per aiutare come…" 

E però bisognerebbe almeno saper dire: "ti voglio bene!"

A volte io vorrei mettermi a correre e correre e correre, per far capire che è importante anche saper scappare, che se si vuol sopravvivere ogni arbusto è buono per potercisi attaccare, che se non si vuol perdere tutto si deve perdere qualcosa, che a volte non c'è vittoria possibile ma solo modi per diminuire le perdite, che l'orgoglio uccide più di tutte le pistole del mondo…

A volte io vorrei saper fissare e ipnotizzare e spegnere i pensieri molesti in quelle teste che non riescono a dormire, fargli vedere le cose belle che hanno dentro, che hanno intorno, e fare in modo che gli basti, che smettano di essere infelici perché non possono avere anche il resto, quello che non serve, che fa male, ma che, per assurdo, non fa vivere… fa impazzire…

Solo che anche io ci casco, e questo mi toglie forza nel parlare. Ci casco perché ognuno prima o poi ci casca e cerca come un disperato quello che non serve.

E qualche volta riesce persino ad afferrarlo.

Ma ecco che appena raggiunto sfuma, sparisce, svapora e allora (purtroppo solo allora) si capisce che non era quello l'importante, che il gioco è tutto nel desiderio, nel sogno, nel cercare quel qualcosa che non è né "ora" né "adesso"… E ci si ritrova all'improvviso vuoti, a desiderare che tutto non sia vero, non sia mai stato…

Di non aver sbagliato.

Ecco perché a volte è meglio correre e correre e correre, meglio salvarsi sotto un sasso, fingersi morti, fare i pazzi, urlare nella notte tutto il male, ma scappare, scappare da noi stessi, disertare…

A volte io vorrei il mondo intero, vorrei le spiagge e le vallate, vorrei il denaro e i primi piani, vorrei tutte le donne che incontro e ballerine e nani…

Altre volte vorrei solo silenzio. E poter essere piccolo fino in fondo.


Poi certe notti vorrei solo addormentarmi, finalmente, senza più pensieri.


... mi sa che ho fatto un'altra cazzata...

lunedì 14 ottobre 2013

IN FUGA

I passi rimbombano sul selciato. Respiri affannosi.
L’inseguitore guadagna terreno. Chi scappa sa che è ormai è finita. Eppure continua a correre e continuerà fino a quando le gambe glielo consentiranno, pur sapendo che non può sfuggire.
L’istinto prevale sulla ragione.
Ancora qualche istante di libertà prima di essere catturato. 
Ancora un metro. 
Ancora un respiro affannoso.
Ancora… 
L’enorme mano si chiude sulla sua spalla, bloccandolo senza scampo.
“Ma sei scemo?”
L’uomo è rosso dallo sforzo e incazzato come una iena.
“Quante volte ti devo dire che non devi lasciare la mano e correre via? E se finivi sotto una macchina?”
Paf! Parte lo scappellotto.
Il piccoletto con la maglietta di Sponge Bob piange e trotterella di malavoglia con la manina imprigionata nella manona del papà.
Ma appena gli capiterà l’occasione ci riproverà.

Oh, se ci riproverà!

Liberoooo!!!