domenica 9 gennaio 2022

VACCINI, ARMADILLI E GENERE UMANO

Premessa: questo post NON è rivolto a chi è convinto che il COVID non esista e/o ai NO VAX.

Lo dico subito perché non ho voglia di fare polemiche, che stamattina mi sono svegliato col collo irrigidito, ho dormito male e a pranzo c’è pure il minestrone!

Questo post è rivolto a quelli che credono alla scienza ufficiale e pensano che i vaccini siano un rimedio utile a contenere la diffusione della pandemia. Scrivo SOLO per loro. D’accordo?

Detto ciò, in realtà questo non è tanto un post sui vaccini, quanto piuttosto sulla generosità. O sulla carenza di generosità.

È una cosa su cui riflettevo in questi giorni, partendo da me stesso e dalla domanda: perché ho fatto il vaccino?

La prima ragione è che io questa malattia non me la voglio beccare.

Non è la paura di morire (la percentuale di decessi tra i contagiati che non hanno patologie pericolose non è così alta da scatenarmi il terrore); è piuttosto la preoccupazione di prendere il COVID in modo serio, perché si sta parecchio male e perché sento troppe persone che, anche dopo averlo superato, si trascinano per settimane e talvolta per mesi le conseguenze e gli effetti collaterali. 

A me questo basta e avanza per decidere di vaccinarmi.

Considerazioni mie, fatti miei, eventuali conseguenze sempre mie. Punto.

Seconda ragione, per certi versi più forte della prima: voglio diminuire la probabilità di trasmettere l’infezione ai miei familiari.

Penso che praticamente tutti quelli che si vaccinano partano da queste due motivazioni (a parte quelli che tentennano considerando che, con un po’ di fortuna, potrebbero infettare la suocera…).

La questione su cui riflettevo è: sono ragioni sufficienti?

Per raggiungere un alto numero di vaccinati forse sì. Per tenere in piedi le strutture sfilacciate e cadenti della nostra società cosiddetta “civile”, mi sa di no.

Manca una motivazione ulteriore: vaccinarsi pensando al bene degli ALTRI, intesi non come piccola tribù familiare, ma come comunità. O, a voler essere “filosofici”, intesi come umanità.

(NOTA: anche quelli che non vivono nel mondo occidentale, ma in paesi poveri, che non hanno i soldi per comprare i vaccini, sono UMANITA'. Lo dico giusto per amore di precisione, eh?).

Quello, insomma, che una volta si chiamava “senso civico” o “senso di responsabilità”.

È una motivazione che resta sullo sfondo, che si cita alla fine nei discorsi ufficiali e nelle dichiarazioni formali di intenti. Tipo i titoli di testa dei film in cui, dopo l’elenco degli attori principali e secondari, compare la scritta: “con la partecipazione straordinaria di…”.

Se questa ulteriore motivazione non entra nell’elenco di quelle che ci hanno spinto a farci pungere dalla siringa, allora mi sa – e lo ripeto a me per primo - che c’è qualcosa che non va.

L’individualismo, che è la matrice e il corollario apparentemente inevitabile della nostra società fondata sul consumo e sulla ricerca del successo personale, tende per sua natura a smantellare il senso di appartenenza a una comunità, a un gruppo, a un contesto sociale.

In molti, però, ci illudevamo resistesse, a mo' di zoccolo duro, la comune considerazione dell'imprescindibilità del bene fondamentale della SALUTE. Se la ricchezza è per definizione per pochi – poiché ci vogliono un sacco di poveri perché possano esserci pochi ricchi - il diritto alla salute ci sembrava dovesse per forza essere di tutti e che ognuno non potesse non volerlo non solo per se stesso, ma anche per gli altri.

Invece il timore è che anche questo totem si stia sgretolando e che oggi il retropensiero sia: mi vaccino per me e per quelli che mi stanno a cuore e gli altri che si fottano, fatti loro.

Infatti i social sono pieni di frasi del tipo: “io ho deciso…”, “io per me…”, “io però…”, “Io alla fine…”.

Sia per spiegare i no che per spiegare i sì.

Io, io, io e ancora IO.

Con l'esplosione del COVID e il primo lock down ci siamo raccontati che la pandemia poteva farci riscoprire il senso profondo del vivere insieme, che fare fronte comune contro il pericolo avrebbe potuto cementarci, riavvicinarci. Ci siamo gridati dai balconi che sarebbe andato “tutto bene”!

Non è successo. Il gregge, che si era istintivamente compattato all’arrivo dei primi fulmini, si è poi disperso, parcellizzato, cercando rifugio dove meglio ha trovato riparo. I lunghi e ripetuti temporali hanno fiaccato la voglia di reagire tutti insieme. L’esasperazione ci ha portati a un: “ognuno per sé; si salvi chi può”.

Il punto di arrivo sono i commenti astiosi e crudeli del tipo: “chi non si vuole vaccinare che crepi”; “che venga cacciato dagli ospedali”. Insomma, chi “sbaglia” paghi.

Come se poi ognuno di noi non fumasse troppo (“meritandosi” un tumore ai polmoni), non mangiasse troppo (“meritandosi” un ictus per le arterie intasate), non guidasse troppo veloce (“meritandosi” di schiantarsi contro un muro) e via dicendo.

E, come al solito, da bravi occidentali che consumano senza rimorso due terzi delle risorse del pianeta, facciamo tutti insieme silenziosamente finta che la pandemia non stia colpendo anche la gente che vive nei paesi poveri o sottosviluppati. Contesti in cui essere PRO VAX o NO VAX non significa nulla perché tanto i VAX col cazzo che arrivano.

Se li sono comprati tutti i paesi più ricchi. Cioè noi.

Una reazione da armadillo, che si arrotola a palla di fronte ai pericoli, che ci rende più piccoli, umanamente più poveri, socialmente più soli, eticamente più miseri. E, per assurdo, fa un favore alla diffusione del virus permettendogli di proliferare e mutare indisturbato in buona parte del pianeta, aumentando le probabilità che salti fuori la variante "fortunata" in grado di aggirare i vaccini.

Al di là e oltre la questione sanitaria, è forte la sensazione che oggi più che mai non basti fare la scelta “giusta” per se stessi, nel senso di più razionale, efficace, funzionale rispetto al rischio pandemico, ma che sia importante farlo anche con le motivazioni giuste, non guardando solo all’orizzonte limitatissimo dell’incolumità del proprio nucleo familiare.

Perché non dobbiamo solo salvarci la pelle e passare avanti. Non basta.

Dobbiamo anche salvare il senso di comunità, l’appartenenza al genere umano.

La pandemia è un problema grave che speriamo, tra qualche anno, di lasciarci alle spalle, ma l’umanità vive problemi ancora più grandi e più gravi.

Impossibile non pensare all’inquinamento e al mutamento del clima. Un dramma epocale che non è pensabile affrontare come singoli o in piccoli gruppi, abbassando la testa e chiudendosi a riccio.

Non c’è vaccino che possa salvarci se il mondo diventerà un luogo inadatto alla vita.

Gli ottusi che si ostinano a negare il cambiamento del clima e i singoli che, pur essendone terrorizzati, pensano solo a comprarsi un condizionatore più potente, alla fine creperanno insieme.

Ci sono cose, e tra queste anche la pandemia, che si possono affrontare solo guardando avanti tutti INSIEME.

E se proprio non sarà possibile ritrovare un senso di comunità, che a spingerci sia quanto meno lo spirito di conservazione, con la consapevolezza che non esiste nessuna soluzione miracolosa che può giungere dall’alto (Dio, i Governi, gli Alieni, i Rettiliani, l’Immane Botta di Culo) e che solo un cambiamento radicale e generalizzato del nostro stile di vita consentirà al genere umano di sopravvivere.

In quanto abitanti dello stesso (piccolo) pianeta, nessuno può pensare di essere una singola gemma che brilla da sola, divertendosi a fare ombra agli altri.

Siamo invece gli anelli di un'unica catena.

È un dato di fatto.

Che ci piaccia o no.

  

L'immagine dell'Armadillo di Zerocalcare c'entra poco. E' solo una scusa per dire a Michele che è un grande e che scrive alcuni dei più bei testi in circolazione!!!

mercoledì 5 gennaio 2022

THE CHIPS AND THE SECRET STRATEGY OF BIG PHARMA

 Fuori da un bar chiacchiero con un amico.

Gli sto raccontando che ho fatto la terza dose di vaccino.

Un tizio che fuma lì accanto scuote la testa e ci guarda con commiserazione.

“Lo sai che vuol dire terza dose?“ mi apostrofa.

Vorrei evitare discussioni che, già lo so, non porteranno da nessuna parte, ma purtroppo sono penalizzato da quel problema irrisolvibile che è l’educazione (colpa di mia madre!) e finisco per girarmi e, sia pure a malincuore, per rispondere.

“Che vuol dire terza dose?”.

“Che ti hanno iniettato non uno, ma tre chip. Contento tu…”.

Dovrei evitare, lo so, dovrei stare zitto. Invece siccome oltre al difetto dell’educazione ho anche quello dell’essere tignoso, parlo.

“Che senso ha iniettarmi tre chip? Ne basta uno no?”

“Eh, ma tu ne hai fatti tre di vaccini!”

“Ma così i chip vanno in conflitto. Che coglioni quelli del Governo”.

Il tizio resta un attimo perplesso.

“Chi l’ha detto che vanno in conflitto?”

“Ma è logico no? Tre chip… se sono programmati per controllarci manderanno tre input uguali. Fanno un casino!”

La sigaretta si consuma tra le dita del tizio che mi fissa interdetto.

“Ma no, forse allora il chip è solo nel primo vaccino e poi lo sanno che hai già il chip e le altre volte non te lo mettono più…”.

“Allora tutti gli infermieri del mondo devono essere collusi con chi ha organizzato questo controllo di massa, perché devono sapere in quali siringhe c’è il chip e in quali no”

Il tipo butta la sigaretta per terra e la spegne col piede. Sembra intenzionato ad andarsene, ma adesso sono io che non mollo la presa.

“Che poi… che stronzata usare i vaccini per metterci dentro il chip no? È un metodo poco pratico perché si sa che c’è parecchia gente che non lo fa il vaccino”.

“Eh…” bofonchia l’altro, non capendo dove voglio andare a parare.

“Io non penso che Big Pharma sia così scema, quelli sono furbi”

“Disonesti!”

“Si si disonesti, ma anche furbi. Pensaci… se tu fossi Big Pharma, lo metteresti nel vaccino il chip? No, tu che sei furbo lo metteresti…” resto in sospeso e lo guardo.

“Dove?” chiede, incuriosito.

“In un medicinale che prendono tutti, volontariamente, senza farsi problemi”

“Ah…”

“Ascolta me, quelli che dicono che il chip è nel vaccino ci prendono per il culo. È una falsa notizia che serve a depistarci e a mandarci in confusione. È di tutta evidenza che il chip è…”

“È?” ripete lui con lo sguardo calamitato dal mio.

“Negli analgesici no?”

“Gli analgesici?”

“Ma sì, cos’è che prendiamo tutti almeno una volta nella vita? Un analgesico! Per il mal di testa, per il mal di denti, per il mal di pancia! Aspirina, Tachipirina, Brufen! Ecco dove mettono il chip, altro che vaccino! Perché quelli li prendiamo tutti senza porci problemi, senza farci domande. Si butta giù la pillola con un po’ d’acqua, quella si scioglie, il chip si attacca con un micro-uncino alle pareti dello stomaco e... Zac! Il gioco è fatto!”

Gli strizzo l’occhio con fare d’intesa, del tipo: noi si che ci capiamo.

Il tizio non dice più niente, ma si vede che la cosa lo ha scosso. Sta di sicuro pensando a quanti antidolorifici ha preso in vita sua. Ad un tratto però gli viene in mente una cosa.

 “Aspetta… ma l’hai detto tu prima che troppi chip insieme è facile che vanno in conflitto… così allora se ne buttiamo giù a decine nella vita…”

Io sorrido.

“Ecco, vedi?”

“Vedi cosa?”

“Vedi che se ti soffermi un po’ a pensare con la tua testa ci arrivi?”

“A cosa?”

“A capire che sto fatto dei chip è una stronzata”, concludo serafico.

Lui mi guarda, ci mette un po’, ma alla fine capisce che lo stavo prendendo in giro. 

E si incazza.

“Vaffanculo!”

“Ecco! Appunto! Finalmente hai intuito il vero modo in cui inseriscono i chip nella gente!”

Vorrebbe rimandarmi al diavolo, ma è confuso.

“Le supposte!” sussurro con aria da cospiratore.

Il tizio diventa rosso, mi manda a cagare con un gesto della mano, si volta e se ne va a grandi passi.

Io rido. Scuoto la testa. Mi giro verso il mio amico.

Mi aspetto di vedergli un sorriso sulle labbra, invece è pallido. Lo guardo interrogativamente.

“La settimana scorsa… Avevo solo quelle a casa per la febbre… e me ne sono messe un paio…”

Mormora spaventato.

Ho la tentazione di rincorrere il tizio della sigaretta per andarmi a prendere un caffè con lui…

 

Capsula per il trasporto dei chip.