Premessa: questo post NON è
rivolto a chi è convinto che il COVID non esista e/o ai NO VAX.
Lo dico subito perché non ho
voglia di fare polemiche, che stamattina mi sono svegliato col collo
irrigidito, ho dormito male e a pranzo c’è pure il minestrone!
Questo post è rivolto a
quelli che credono alla scienza ufficiale e pensano che i vaccini siano un
rimedio utile a contenere la diffusione della pandemia. Scrivo SOLO per loro.
D’accordo?
Detto ciò, in realtà questo
non è tanto un post sui vaccini, quanto piuttosto sulla generosità. O sulla
carenza di generosità.
È una cosa su cui riflettevo
in questi giorni, partendo da me stesso e dalla domanda: perché ho fatto il
vaccino?
La prima ragione è che io questa
malattia non me la voglio beccare.
Non è la paura di morire (la percentuale di decessi tra i contagiati che non hanno patologie pericolose non è così alta da scatenarmi il terrore); è piuttosto la preoccupazione di prendere il COVID in modo serio, perché si sta parecchio male e perché sento troppe persone che, anche dopo averlo superato, si trascinano per settimane e talvolta per mesi le conseguenze e gli effetti collaterali.
A me questo basta e avanza
per decidere di vaccinarmi.
Considerazioni mie, fatti
miei, eventuali conseguenze sempre mie. Punto.
Seconda ragione, per certi
versi più forte della prima: voglio diminuire la probabilità di trasmettere
l’infezione ai miei familiari.
Penso che praticamente tutti
quelli che si vaccinano partano da queste due motivazioni (a parte quelli che
tentennano considerando che, con un po’ di fortuna, potrebbero infettare la
suocera…).
La questione su cui
riflettevo è: sono ragioni sufficienti?
Per raggiungere un alto
numero di vaccinati forse sì. Per tenere in piedi le strutture sfilacciate e
cadenti della nostra società cosiddetta “civile”, mi sa di no.
Manca una motivazione
ulteriore: vaccinarsi pensando al bene degli ALTRI, intesi non come piccola
tribù familiare, ma come comunità. O, a voler essere “filosofici”, intesi come
umanità.
(NOTA: anche quelli che non
vivono nel mondo occidentale, ma in paesi poveri, che non hanno i soldi per
comprare i vaccini, sono UMANITA'. Lo dico giusto per amore di precisione,
eh?).
Quello, insomma, che una
volta si chiamava “senso civico” o “senso di responsabilità”.
È una motivazione che resta
sullo sfondo, che si cita alla fine nei discorsi ufficiali e nelle
dichiarazioni formali di intenti. Tipo i titoli di testa dei film in cui, dopo
l’elenco degli attori principali e secondari, compare la scritta: “con la
partecipazione straordinaria di…”.
Se questa ulteriore
motivazione non entra nell’elenco di quelle che ci hanno spinto a farci pungere
dalla siringa, allora mi sa – e lo ripeto a me per primo - che c’è qualcosa che
non va.
L’individualismo, che è la
matrice e il corollario apparentemente inevitabile della nostra società fondata
sul consumo e sulla ricerca del successo personale, tende per sua natura a
smantellare il senso di appartenenza a una comunità, a un gruppo, a un contesto
sociale.
In molti, però, ci illudevamo
resistesse, a mo' di zoccolo duro, la comune considerazione dell'imprescindibilità
del bene fondamentale della SALUTE. Se la ricchezza è per definizione per pochi
– poiché ci vogliono un sacco di poveri perché possano esserci pochi ricchi -
il diritto alla salute ci sembrava dovesse per forza essere di tutti e che ognuno
non potesse non volerlo non solo per se stesso, ma anche per gli altri.
Invece il timore è che anche
questo totem si stia sgretolando e che oggi il retropensiero sia: mi vaccino
per me e per quelli che mi stanno a cuore e gli altri che si fottano, fatti
loro.
Infatti i social sono pieni
di frasi del tipo: “io ho deciso…”, “io per me…”, “io però…”, “Io alla fine…”.
Sia per spiegare i no che
per spiegare i sì.
Io, io, io e ancora IO.
Con l'esplosione del COVID e
il primo lock down ci siamo raccontati che la pandemia poteva farci riscoprire
il senso profondo del vivere insieme, che fare fronte comune contro il pericolo
avrebbe potuto cementarci, riavvicinarci. Ci siamo gridati dai balconi che
sarebbe andato “tutto bene”!
Non è successo. Il gregge,
che si era istintivamente compattato all’arrivo dei primi fulmini, si è poi
disperso, parcellizzato, cercando rifugio dove meglio ha trovato riparo. I
lunghi e ripetuti temporali hanno fiaccato la voglia di reagire tutti insieme. L’esasperazione
ci ha portati a un: “ognuno per sé; si salvi chi può”.
Il punto di arrivo sono i
commenti astiosi e crudeli del tipo: “chi non si vuole vaccinare che crepi”; “che
venga cacciato dagli ospedali”. Insomma, chi “sbaglia” paghi.
Come se poi ognuno di noi
non fumasse troppo (“meritandosi” un tumore ai polmoni), non mangiasse troppo
(“meritandosi” un ictus per le arterie intasate), non guidasse troppo veloce
(“meritandosi” di schiantarsi contro un muro) e via dicendo.
E, come al solito, da bravi
occidentali che consumano senza rimorso due terzi delle risorse del pianeta,
facciamo tutti insieme silenziosamente finta che la pandemia non stia colpendo
anche la gente che vive nei paesi poveri o sottosviluppati. Contesti in cui
essere PRO VAX o NO VAX non significa nulla perché tanto i VAX col cazzo che
arrivano.
Se li sono comprati tutti i
paesi più ricchi. Cioè noi.
Una reazione da armadillo,
che si arrotola a palla di fronte ai pericoli, che ci rende più piccoli,
umanamente più poveri, socialmente più soli, eticamente più miseri. E, per
assurdo, fa un favore alla diffusione del virus permettendogli di proliferare e
mutare indisturbato in buona parte del pianeta, aumentando le probabilità che salti
fuori la variante "fortunata" in grado di aggirare i vaccini.
Al di là e oltre la
questione sanitaria, è forte la sensazione che oggi più che mai non basti fare
la scelta “giusta” per se stessi, nel senso di più razionale, efficace,
funzionale rispetto al rischio pandemico, ma che sia importante farlo anche con
le motivazioni giuste, non guardando solo all’orizzonte limitatissimo dell’incolumità
del proprio nucleo familiare.
Perché non dobbiamo solo
salvarci la pelle e passare avanti. Non basta.
Dobbiamo anche salvare il
senso di comunità, l’appartenenza al genere umano.
La pandemia è un problema grave
che speriamo, tra qualche anno, di lasciarci alle spalle, ma l’umanità vive
problemi ancora più grandi e più gravi.
Impossibile non pensare all’inquinamento
e al mutamento del clima. Un dramma epocale che non è pensabile affrontare come
singoli o in piccoli gruppi, abbassando la testa e chiudendosi a riccio.
Non c’è vaccino che possa
salvarci se il mondo diventerà un luogo inadatto alla vita.
Gli ottusi che si ostinano a
negare il cambiamento del clima e i singoli che, pur essendone terrorizzati,
pensano solo a comprarsi un condizionatore più potente, alla fine creperanno
insieme.
Ci sono cose, e tra queste
anche la pandemia, che si possono affrontare solo guardando avanti tutti INSIEME.
E se proprio non sarà
possibile ritrovare un senso di comunità, che a spingerci sia quanto meno lo spirito
di conservazione, con la consapevolezza che non esiste nessuna soluzione
miracolosa che può giungere dall’alto (Dio, i Governi, gli Alieni, i
Rettiliani, l’Immane Botta di Culo) e che solo un cambiamento radicale e
generalizzato del nostro stile di vita consentirà al genere umano di
sopravvivere.
In quanto abitanti dello
stesso (piccolo) pianeta, nessuno può pensare di essere una singola gemma che
brilla da sola, divertendosi a fare ombra agli altri.
Siamo invece gli anelli di
un'unica catena.
È un dato di fatto.
Che ci piaccia o no.
L'immagine dell'Armadillo di Zerocalcare c'entra poco. E' solo una scusa per dire a Michele che è un grande e che scrive alcuni dei più bei testi in circolazione!!! |
Sono d'accordo con te. E a questo proposito direi che il film Don't look up (terribilmente angosciante, checchè se ne dica)riflette bene quello che siamo diventati (almeno noi ricchi occidentali). Non so se capiremo mai dove stiamo correndo.... P.S. Io ho fatto il vaccino con la prima motivazione di far sparire questo dannato virus
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