mercoledì 23 maggio 2012

OI DIALOGOI (brevi dialoghi illuminanti)

I dialoghi.
Vi è mai capitato di captare in un bar, nel treno, per strada, un brandello di conversazione, magari un paio di battute soltanto, e di trovarle illuminanti, nel senso che quel poco che avete sentito basta e avanza a capire il tenore dell’intera conversazione e magari anche la personalità di chi sta parlando?
Interi racconti condensati in due o tre frasi.
E questo vale, naturalmente, anche quando si parla di libri…

***

Dialogo #1  (per la serie: ma “scrittore” è un mestiere?)
“Che fai nella vita?”
“Scrivo romanzi”
“No, intendevo di lavoro, che fai nella vita?”
“Te l’ho detto, scrivo romanzi”
“Quindi tua moglie lavora per tutti e due…”

Dialogo #2  (per la serie: in treno mi metto a leggere così non mi rompe nessuno)
“Ciao io sò Marco”
“Ciao sono Antonella”
“Vedo che stai a leggere…”
“Sì, è la mia passione”
 “Ma dimme un po’, oltre a leggere fai anche qualcosa di divertente nella vita?”

Dialogo #3  (per la serie: le mamme non ti prendono mai molto sul serio)
“E basta, chiudi quel computer e vieni a tavola!”
“Ma mamma: sto scrivendo!”
“Ma che scrivendo e scrivendo, che la frittata si fredda!”

Dialogo #4  (per la serie: fini intellettuali a confronto)
“Non trovi che il mio ultimo romanzo sia pervaso da un alone kafkiano?”
“E tu non trovi che il mio abbia la complessità di un opera proustiana?”
“Sì ma il mio…”
“Beh, anche il mio…”
“I signori scusino se interrompo: gradite il rognone con le cotiche dopo la coda alla vaccinara?”
“Ovvio, cazzo!”

Dialogo #5  (per la serie: ma sei sicuro che volevi invitare a cena proprio me?)
“Hai letto il nuovo libro di Roth?”
“Il terzino del Bayern?”

Dialogo #6  (per la serie: l’inglese, questo unknown)
“Ti vedo strano, sembri assente…”
“Scusa, è che ho in testa questo plot che…”
“Oh Signore! Ma hai già fatto la risonanza magnetica?”

Dialogo #7  (per la serie: nutrirsi di cultura)
“E ora, al termine della presentazione, l’autore è a disposizione per le domande del pubblico!”
“…”
“…”
“Ehm… chi vuol rompere il ghiaccio?”
“Io!”
“Perfetto: cosa voleva chiedere?”
“Quando comincia il buffet?”

Dialogo #8  (per la serie: segreti difesi con le unghie e coi denti)
“E ora, per chiudere l’intervista, posso chiederle quante copie ha venduto del suo ultimo romanzo?”
“Ehm… vi ho mai raccontato del figlio segreto che ho avuto con la Regina d’Inghilterra?”

Dialogo #9  (per la serie: grandissima considerazione dei propri mezzi)
“Ho letto il suo romanzo. L’ho trovato noioso, sciatto, volgare, pieno di refusi e pretenzioso”
“Ma a parte questi dettagli le è piaciuto?”

Dialogo #10  (per la serie: biografie di sportivi famosi)
“Lei è il mio calciatore preferito! Me lo fa l’autografo sul libro?”
“Mi spiace, non so scrivere. Le faccio una rovesciata? Va bene lo stesso?”


Esempio di illuminante dialogo telematico!

giovedì 10 maggio 2012

Troppe informazioni nessuna informazione

Piccola riflessione.
Sono sempre più convinto che troppe informazioni significano, per assurdo, nessuna informazione.
Le notizie diventano solo fugaci immagini di un rullo che scorre a ritmo continuo davanti ai nostri occhi. E questo vale ancor più per chi usa con regolarità i social network, in cui si mescolano bulimicamente commenti sui massimi sistemi e scemenze senza significato, riflessioni su temi altissimi con vignette da caserma.
Tutto “democraticamente” sullo stesso piano, tutto, comunque, in velocissimo passaggio per lasciare posto alla notizia, all’informazione, al commento, alla cagata successiva.
Il problema è proprio questo: la velocità.
Il nostro cervello ha bisogno di elaborare per ritenere, di elaborare per capire, di elaborare per crescere.
Elaborare richiede tempo.
Il modo in cui circolano le informazioni oggi, così convulso, con nuove notizie che subito prendono il posto delle precedenti, con cadenza ormai neppure di giorni (come succedeva nell’epoca non molto lontana dei giornali cartacei e dei telegiornali serali), ma di poche ore (come succede nell’era dei siti internet e dei canali di news 24 su 24), ci impedisce di soffermarci, di riflettere, di discutere.
Il risultato è che ricordo molto più avvenimenti successi vent’anni fa, entrati nella nostra storia nazionale o nella mia storia personale, piuttosto che gli avvenimenti dei mesi scorsi. E non si tratta (non ancora almeno) di arteriosclerosi. E’ proprio perché il cervello non riesce a elaborare a sufficienza e subisce passivamente imput che restano solo nella memoria a breve termine e non entrano a far parte di quella a lungo termine.
C’è una spiegazione scientifica. Gli esperti che studiano la fisiologia del nostro cervello e i modi in cui si apprende sono in grado di dimostrarcelo nei dettagli.
Anzi, c’era un post su facebook qualche giorno fa su questo argomento, l’ho pure letto ma…
…non me lo ricordo più!

venerdì 4 maggio 2012

E ADESSO CHI LO DICE A...

Ci sei riuscito!
Porca miseria ce l’hai fatta!
Hai scritto un romanzo fichissimo, una roba che manco gli americani, con protagonista un serial killer cannibale a cui da la caccia una detective coprofaga che poi si scopre essere a sua volta una serial killer che segue per errore le tracce di una setta di pedofili che combattono contro un’altra setta di violentatori di suore.
Una roba che la tua casa editrice si è leccata i canini grondanti sangue di esordiente e ha rotto il porcellino salvadanaio per farti promozione.
Cavoli sei forte, sei trasgressivo, sei…
Sei nella merda!
Perché una cosa è rispondere in modo caustico alle interviste sui blog o giocare all’autore “maledetto” su facebook, ma ben altra cosa è raccontare a tuo padre, a tua madre, a tua zia Cesira, a Don Fulgenzio, alla maestra di tua figlia, al barista del Bar Sport sotto l’ufficio, di cosa parla il romanzo che hai pubblicato.
Mica facile.
Ti pare di sentirla tua mamma, ancora ignara della trama del tuo romanzo, che con voce commossa parla con le sue conoscenti: “Mio figlio è sempre stato un bambino così sensibile, signora mia! Fin da piccolo ci è sempre piaciuto di scrivere. Che mi ricordo ancora la poesia sulla mamma che mi ha scritto che aveva dieci anni e quel racconto così delicato sull’uccellino piccolo che cade dal nido, quella volta che ha vinto il concorso alla parrocchia di San Barbanente…”. E ti sembra di vederle le conoscenti di tua mamma che, curiose come scimmie, entrano (magari per la prima volta in vita loro) nella libreria del paese, chiedono dov’è il romanzo del “figlio della Jole”, lo prendono in mano, vedono la copertina con il serial killer cannibale che sbrana una tibia mentre sullo sfondo la detective coprofaga sbrana… (vabbè, ci siamo capiti) e poi escono dalla libreria e non salutano più la Jole neanche sotto tortura.
Già te lo immagini tuo padre che si chiude in casa con le persiane abbassate, che non va neanche a ritirare la posta dalla cassetta delle lettere per paura che il portiere gli tenda un agguato per chiedergli a bruciapelo, con quel sorrisetto da ex tesserato della DC, se è fiero di avere un figlio che ha pubblicato un romanzo che l’Osservatore Romano ha messo all’indice come ai tempi della Santa Inquisizione.
Per non parlare dei compagnucci di classe di tua figlia che, dopo aver captato i commenti caustici dei loro genitori, non perderanno occasione di andarle a chiedere, tutti eccitati, se è vero che il suo papà ha scritto un libro con una poliziotta che si mangia la cacca. La qual cosa, a dire il vero, ti renderà popolarissimo tra i bambini. Molto meno tra le mamme che li aspettano all’uscita di scuola.
E tua moglie? Tua moglie che ce le ha sulla punta della lingua certe domande, che si sforza di non farle e però non può fare a meno di girarle e rigirarle nella mente. Sì, insomma, che vorrebbe capire: com’è che sei così preparato sui riti sadomaso in cui ti dilunghi nel sesto capitolo? E come mai sembri saperne così tanto sui gusti sessuali delle sedicenni di cui disquisisci dottamente nel dodicesimo capitolo? E, visto che ci siamo: quanti accidenti di anni hai detto che ha questa editor della casa editrice che vi sarete telefonati mille volte mentre sistemavate le bozze e l’hai pure ringraziata nella pagina dei ringraziamenti? E ringraziata di cosa? Di quale genere di “assistenza”?
Asciugandoti il sudore che cola dalla fronte, resti lì a chiederti seriamente se davvero non sarebbe stato meglio pubblicare una bella raccolta di poesie sul dramma degli uccellini caduti dal ramo e finiti nelle grinfie del gatto crudele o sugli occhi dolci delle mamme dai capelli imbiancati. Un bel libretto che avrebbe comprato solo tua mamma e un paio delle sue amiche, non perché gli freghi qualcosa delle poesie, ma per poter insultare i propri figli dicendogli: “vedi che belle cose scrive il figlio della Jole alla sua mamma? E tu? Tu che non ti sei neanche ricordato del mio compleanno?”
E intanto ti contatta la tv locale: “verrebbe alla nostra trasmissione Scrittori senza morale a parlare del suo trillerone dirompente?”
E intanto ti scrive la nota rivista alternativa: “ci rilascia un suo illuminante parere sull’indubbio valore del bondage nello sviluppo della società occidentale?”
E intanto ti arriva l’invito a far parte della giuria della prossima edizione del prestigioso “Premio Storie Porcelle”.
E ora?
Chi lo racconta a Don Fulgenzio?


P. S.
Io scherzo ma confesso che non è stato semplicissimo quella volta che ho dovuto raccontare a mia mamma che stavo pubblicando un romanzo intitolato...

"Gliene prenoto una copia Don Fulgenzio?"