venerdì 10 novembre 2017

LA STANCHEZZA DELLO SCRITTORE


Quando gli scrittori parlano del loro lavoro, raccontano di solito l’entusiasmo che li muove, descrivono la complessità del processo creativo o, magari, recriminano sulle incongruenze del sistema editoriale del nostro paese.

Qualche autore arriva a raccontare il “dramma” del blocco da pagina bianca.

Più raro, invece, trovare uno scrittore che parli della “fatica” di scrivere e di come a volte non si riesca a trovare le energie mentali per portare avanti i propri progetti.

Lo so che è difficile per chi non scrive vedere la scrittura come un’attività faticosa. Non si sollevano pesi, non si compilano moduli, non c’è un capo rompiballe che ti sta col fiato sul collo, non ci sono colleghi insopportabili con cui condividere le giornate.

Scrivere appare come un hobby e quindi, per definizione, qualcosa di rilassante.

“Beato te che scrivi… che ti rilassi in questo modo… che ti svuoti la testa…”.

Sticazzi! (Traduz: non funziona così).

Forse scrivere un raccontino ogni tanto, a tempo perso, può essere uno “svuota testa”, ma portare avanti seriamente un progetto complesso come un romanzo, un saggio, una sceneggiatura, richiede, al contrario, la capacità di essere completamente, con tutta la testa, dentro la storia a cui stai lavorando.

Scrivere a tempo perso significa, con quasi matematica certezza, scrivere porcherie. I buoni romanzi, le buone storie, vengono da gente che applica le proprie migliori energie con costanza, per mesi, a volte per anni, al testo che sta scrivendo.

Personalmente, non facendo lo scrittore come mestiere principale e dovendo ritagliare a fatica il tempo per la scrittura, il mio più grande cruccio, per tutti i romanzi che ho pubblicato, è quello di non avere avuto a disposizione il tempo e la concentrazione che avrei desiderato. Alla fine le cose che ho pubblicato sono il massimo che sono riuscito a fare col tempo e le forze a disposizione, per cui convivo ogni volta con la fastidiosa sensazione di non avere espresso fino in fondo il mio potenziale.

In genere il non addetto ai lavori non ha percezione della quantità di tempo e della costanza dell’impegno che la scrittura richiede.


Vi confesso che prenderei a schiaffi quegli autori e registi che raccontano al cinema storie di scrittori in crisi che poi ad un tratto, ritrovata “l’ispirazione” (ispirazione? Che cavolo sarebbe l’ispirazione? Da quando in qua uno scrittore serio scrive solo quando ha l’ispirazione, ma scherziamo?), si mettono a digitare all’impazzata sulla tastiera e in un paio di notti di lavoro folle e disperato, tra un whisky e una sigaretta, tirano fuori una fantastica novella o, magari, con qualche settimana di applicazione, un romanzo che vendere milioni di copie e li fa diventare ricchi e famosi.

Ma de che? (Come dicono a Roma).

E così arrivano quei periodi, a volte brevi, altre volte lunghi e deprimenti, in cui uno scrittore - magari perché attraversa una fase complicata della sua vita, in cui le difficoltà del quotidiano esauriscono le energie a disposizione - sente il “peso” (soprattutto mentale, ovviamente) della scrittura come troppo gravoso. Non è il desiderio di raccontare storie a essere venuto meno e non è neanche una questione di blocco da pagina bianca. Al contrario ci sono magari storie già iniziate, delle quali si è già decisa la trama, che aspettano solo di essere messe nero su bianco, ma alle quali non si riesce a dedicare tempo e fatica perché si è "in riserva".

Poi va detto che anche nella scrittura è importante avere un obiettivo, una prospettiva concreta per cui lavorare. È vero che più che in altre attività la scrittura trova ragione, senso e compimento in sé stessa, al punto che moltissimi scrittori scrivono per anni con passione anche quando non hanno nessuno che pubblica e legge quello che scrivono, ma mi sembra ovvio che la concreta prospettiva di pubblicare un romanzo e/o di vendere un soggetto o una sceneggiatura è qualcosa che aiuta in modo decisivo a trovare forze e motivazioni per rimettersi in moto.

Personalmente ho sperimentato di recente, in un periodo in cui non riesco a portare avanti seriamente progetti di scrittura, l’importanza anche soltanto di condividere un progetto con un altro autore, nel caso di specie la scrittura di una nuova sceneggiatura con il mio amico/socio Antonio. Fa niente che non sappiamo se troveremo mai una casa di produzione interessata: il fatto stesso di lavorare in due, che il mio contributo sia necessario ad arrivare in fondo, mi ha aiutato a trovare quella concentrazione e quelle energie che mi sembrava di non avere.

Ma la scrittura, per fortuna, non è l’infatuazione di un momento. La scrittura è un grande amore che è lì, c’è, e non si esaurisce, nonostante la fatica. O magari, a voler essere più cinici, è una malattia cronica, da cui non si guarisce, che prima o poi ritorna prepotente. Perciò anche nella pesantezza di questi ultimi mesi non mi dispero del tutto. Confido nel fatto che la fiamma sia, come sempre, accesa.

Torneranno le energie sufficienti a vincere la pigrizia, a tenere concentrata la mente, a costruire mattone su mattone, riga su riga, paragrafo su paragrafo, revisione su revisione, correzione su correzione, ripensamento su ripensamento, riscrittura su riscrittura, una nuova storia.

Anche senza whisky e senza sigarette, anche senza inquadrature fichissime con lo skyline della città di notte sullo sfondo (nella stanzettina in cui scrivo non c’è manco una finestra…).

Un nuovo romanzo con cui non vincerò nessun premio e non diventerò milionario.

Sarò solo (parzialmente) soddisfatto di me.