martedì 3 novembre 2015

EXTASIA tra i candidati del Premio Strega Ragazzi

"Extasia" è stato inserito tra i candidati nella sezione adolescenti del Premio Strega Ragazzi.

L'elenco dei romanzi in gara lo potete trovare qui:
http://www.premiostrega.it/PSR/libri/


Da quest'anno, infatti, accanto al tradizionale Premio Strega e al Premio Strega Giovani, è stato indetto per la prima volta anche il Premio Strega Ragazzi, articolato in due sezioni: bambini e adolescenti.
Una giuria tecnica sceglierà a breve la cinquina dei romanzi finalisti, che verranno sottoposti al vaglio di una giuria popolare composta dai ragazzi di numerose scuole della penisola.
"Extasia" concorre con romanzi editi dalle più importanti case editrici italiane (Mondadori, Feltrinelli, ecc.) per cui sarà durissima. Di fatto, al di là del valore del romanzo (che spetta ai lettori decretare), sono consapevole che si tratta di un tentativo piuttosto velleitario.

Ma noi - io e quelli della Leone - siamo stati abbastanza matti da volerci provare :-)
Confesso che avevo delle perplessità, perché Extasia non è stato pensato e scritto "appositamente" per i ragazzi.

La mia casa editrice, però, è convinta che la storia possa piacere anche a un pubblico di lettori adolescenti e per questo ha insistito. 

Che vi devo dire? Chi vivrà vedrà! :-) 



martedì 16 giugno 2015

"Ma si guadagna scrivendo?"


È una domanda che, prima o poi, mi fanno quasi tutti: "ma guadagni scrivendo?".

La risposta è no (o meglio: molto poco).

E allora parte il sorrisino. "Ah… ecco… quindi lo fai per hobby…".

Per hobby un par di palle! Nella scrittura ci sono le mie migliori energie, la mia creatività, la fatica e la costanza, i dubbi e le paure, la speranza e l'esaltazione. Ci sono ore rubate al sonno, ci sono appunti e prime stesure, ci sono revisioni e riscritture. Col cavolo che si può definire hobby.

Hobby è collezionare figurine o coltivare gardenie sul balcone (e anche attività come queste richiedono energie e passione, per cui, personalmente, mi guardo bene da liquidarle con un sorrisino!).

Scrivere, per molti versi, è più faticoso che andare in ufficio. Solo che in questo paese il lavoro creativo non viene considerato lavoro. Salvo poi essere costantemente affamati di quello che i creativi producono: musica, storie, film, immagini, danza e quant'altro. I creativi nutrono il tempo libero della gente. Che è per definizione il tempo più felice. Ma stupisce che ambiscano a essere pagati.

Curioso…

"D'altronde non te lo ordina il dottore di scrivere, no?"

Vero. Ma il dottore non ordina neppure a te di andare al cinema, a un concerto, di ascoltare musica in macchina, di guardare video su you tube, di scaricare una bella immagine come sfondo del pc, ecc. Non te lo ordina però lo fai e ti piace farlo e ti senti bene quando esci da un cinema in cui hai visto un bel film, da un pub in cui qualcuno suonava buona musica, da una mostra fotografica che di ha dato emozioni.

O magari quando poggi il tablet su cui hai scaricato un libro piratato, che non hai pagato.

"Ma io ho fregato il sistema… l'editore… mica te!"

Ah ecco! Perché è normale che io non riceva nulla per aver scritto la storia che ti è piaciuto leggere.

Però se qualcuno non pagasse te per il tuo lavoro di ufficio o per il tuo lavoro in studio o per il tuo lavoro da artigiano, tu ti rivolgeresti a un avvocato per fargli causa. Ovviamente.

Io invece no. Io devo essere contento che tu legga (gratis) il mio libro.

Curioso…

Perché, per esempio, uno stupido lavoro di ufficio (molti lavori d’ufficio sono stupidi, non prendiamoci in giro) vale di più del lavoro di scrittura?

Negli ultimi anni ho pubblicato con una certa regolarità romanzi, racconti, articoli e quello che scrivo è stato letto e chi pubblica continua a chiedermi altre cose da pubblicare. Le richieste e le occasioni non mi mancano; mi mancano piuttosto tempo ed energie per star dietro a tutto quello che potrei fare. Questo, credo, significhi qualcosa.

In un mondo normale (o forse solo in un altro paese) questo significa che sai scrivere, che c'è chi trova interessante leggerti e che, quindi, puoi fare lo scrittore.

Invece in questo mondo strano in cui viviamo devo scrivere di notte, devo dire "grazie" quando qualcuno mi legge e mi devo sentir dire che ho un hobby interessante.

È così, c’è poco da fare.

Vi chiedo solo un favore: per lo meno non fate il sorrisino!

LAVORO CRE... CREA... CHE???

mercoledì 27 maggio 2015

PAPA' TASSISTA (notti di attesa in parcheggi deserti)


Figlio Grande è Altrove con il gruppo teatrale della scuola. Rappresentazione prevista in serata. Quindi, papàtassista si deve mettere l'animo in pace: toccherà uscire a notte fonda per andare a recuperare Figlio Grande davanti a scuola, dove lo scodellerà il pullman che porta in giro i teatranti.

"Dovremmo arrivare verso le undici e mezza", ha detto Figlio Grande al cellulare.
Papàtassista poco dopo le undici saluta moglieschiantatadisonno, le dà il bacio della buona notte, si infila la fida giacca verde militare ed esce. Sotto casa la Punto nera arabescata di graffi e bozzi di varie forme e dimensioni dorme di fianco a una supponente Mercedes lavata di fresco. Papàtassista preme il bottoncino sulla chiave. La Punto risponde "bip" e batte gli occhi/fari svegliandosi infastidita.

"Anche stasera dobbiamo uscire?", chiede la Punto con voce impastata di sonno.
"Eh sì…", risponde l'uomo con la fida giacca verde militare.

"A che ora arriva?"

"Ha detto alle undici e mezza…"
"E tu gli credi?"

"Fai meno la spiritosa e vedi di metterti in moto!"
Brummmm, brummmm. L'uomo sistema lo specchietto, regola la distanza del sedile, accende i fari, recupera la mascherina della radio, la incastra nell'apposito spazio, accende e inizia a far manovra.

Dalla radio esce la voce nasale e lamentosa di Ramazzotti. Ecco, ci mancava solo lui! Papàtassista guida e intanto scorre i canali. Radio Deejay con i suoi conduttori dall'accento milanese, sempre "troppo simpaticissimi". Clic. Un'Anna Oxa d'annata a Radio Italia. Clic. Inevitabile Radio Maria. Clic. Finalmente un pezzo decente. Sade: Smooth Operator.
La Punto si rilassa, l'uomo guida in punta di dita attraverso la città semi deserta. Luci gialle, poche auto, qualche passante frettoloso, un ragazzo di colore su una bici scassata che ondeggia pericolosamente.

La scuola è in periferia, appoggiata alla tangenziale, nel quartiere che fu feudo di Savinuccio Parisi. Malavita seria, mica rubagalline improvvisati. Davanti alla scuola il palazzetto dello sport in cui di tanto in tanto fanno i concerti. Tra i due edifici un grande parcheggio senza nemmeno una macchina. È lì che la Punto va a fermarsi. Con un sospiro meccanico si spegne.
Papàtassista comincia a preoccuparsi. Perché non c'è nemmeno un altro genitore in attesa?

L'uomo con la giacca verde militare guarda la scuola immersa nel silenzio. Un parallelepipedo anonimo senza alcuna attrattiva. Brutta come sono brutte tutte le scuole costruite in questo Paese dagli anni sessanta in poi. Roba tirata su in fretta con pannelli prefabbricati. Basterebbe questo a testimoniare quanto poco interessi a questo Paese la formazione dei suoi ragazzi. Riforme su riforme che pasticciano precedenti riforme pasticciate. Con l'unico, inconfessabile, scopo di ridurre i costi dell'istruzione. All'uomo con la giacca verde militare girano a trottola i "cosiddetti", quando sente sproloquiare in TV di: "inglese & informatica". A parte che magari venissero  insegnati in modo decente l'inglese e l'informatica, non è per quello che rinchiudiamo i nostri figli in questi brutti edifici. Dovrebbero star chiusi lì dentro per imparare a pensare, a ragionare, per imparare cosa è bello, cosa è giusto, perché sviluppino la loro creatività.
E questi parlano di inglese, di informatica, di essere pronti per "il mondo del lavoro". Questi sognano in realtà una generazione di impiegati e operai ignoranti che lavorino senza protestare, quando invece le sfide del millennio si giocano sulla capacità di innovare, di ripensare, di ottimizzare, di essere creativi, di produrre cultura.

L'uomo nella Punto, che nel frattempo si è riappisolata, beata lei, si incazza a pensare a queste cose e intanto il tempo scorre e il parcheggio resta deserto.

Squilla il cellulare. È Figlio Grande. L'uomo si illude chiami per dire che stanno arrivando, invece sente in sottofondo confusione e rumore di stoviglie. Gli cascano le braccia.
"Papà, purtroppo abbiamo finito solo poco fa e ora siamo in pizzeria per mangiare qualcosa prima di rientrare".

Ma porca di una porca di una porca miseria!
Naturalmente non è stato possibile avvisare prima (magari prima che questo sfigato con la giacca verde militare uscisse di casa), naturalmente ci ha provato, ma "non c'era campo" (ma chi l'ha detto che ormai gli operatori telefonici coprono il 99% del territorio nazionale e, se è vero, perché i figli si muovono sempre e soltanto in quell'1% del territorio nazionale non coperto dal segnale?), naturalmente gli dispiace molto, naturalmente non saranno a Bari prima di un'ora, un'ora e mezza.

"Ciao… chiudo che arrivano le pizze!"
L'uomo scende dalla Punto nel parcheggio deserto e va avanti e indietro in mezzo al nulla per smaltire il nervoso. Poi rientra in macchina. La Punto finge di dormire, ma si capisce che sta ridacchiando. All'uomo verrebbe voglia di mettere in moto e cominciare a sgommare in tondo per il parcheggio, per farle girare la centralina elettronica, così impara a sfottere.

Tocca mettersi tranquillo, tocca aspettare.
L'uomo ascolta la radio. Passa a raffica una serie di stazioni senza quasi capire cosa trasmettano. A un certo punto si ferma e canta mezza "A te" insieme a Jovanotti, poi riprende a girare e manda al diavolo un deejay troppo simpaticissimo, salta al volo un rosario su Radio Maria, muove la testa a tempo con un vecchio pezzo hard rock su Virgin Radio.

Poi l'uomo si rifugia nello schermo dello smartphone. Dà un'occhiata a facebook, poi a twitter, poi alle notizie del giorno sul sito de La Repubblica, ma la linea è troppo lenta e le pagine ci mettono un sacco a caricare. Allora si mette a giocare con la fotocamera, fotografa il parcheggio deserto, fotografa la luna, si fotografa la faccia stanca nel buio. Mamma mia come sembra stanca e vecchia la sua faccia in foto. Così cancella tutto, mette da parte lo smartphone (robaccia cinese che scalda come un ferro da stiro), incrocia le braccia e sbuffa.
"L'una meno dieci…" mormora l'uomo.

"Non doveva arrivare alle undici e mezza?" canzona una vocetta.
"Una volta o l'altra faccio il pieno con la nafta invece che con la benzina" ringhia l'uomo.

La Punto capisce che non è aria e torna a fare l'automobile. E le automobili, come è noto, non parlano.
Ma ecco che cominciano a comparire alcune auto che si fermano, una qui una là, nel grande parcheggio. Con ogni evidenza sono genitori di altri ragazzi del gruppo teatrale che, avvisati per tempo da pargoli con cellulari misteriosamente capaci di trovare campo, hanno evitato di passare un'ora e mezza seduti in mezzo al nulla a pochi passi dalla tangenziale in quello che fu il Regno di Savinuccio Parisi.

All'una precisa, quasi muso a muso con la Punto arabescata di graffi, si ferma una macchinetta fichissima da cui scende una mamma ancora giovane inguainata in jeans che forse sono tatuati, con una giacchettina di pelle e occhiali portati a mo' di fermacapelli su capelli che gridano parrucchiere alla moda a gran voce. La donna con tutta evidenza si ritiene strafighissima perché si poggia in posa plastica contro la macchinetta, sciorina una sigaretta sottile, la accende con mosse studiate e si mette a fumare che neanche Greta Garbo nei film del muto.
Ogni tanto, come per caso, la strafighissima butta un'occhiatina verso papàtassista  giusto per vedere se sta guardando. Che gusto c'è, infatti, a recitare da strafighissima senza pubblico?

Dalla penombra circostante compare, come dal nulla, un papàstrafighissimo, con pochi capelli, un po' di pancia, ma passo fermo, sorriso sicuro, maglioncino di marca poggiato sulle spalle come mantello di Superman e iphone in mano (mica cellulare cinese che scalda come un ferro da stiro!). Abborda la strafighissima con una battuta ben studiata e lei ride, buttando indietro la testa. Inizia un balletto con coreografia collaudata. È una scena che a papàtassista sembra di avere già visto un milione di volte.
Papàtassista riflette per l'ennesima volta che lui non è proprio fatto per queste cose. Non è neanche questione di essere sposati. Anche se fosse single non sarebbe capace lo stesso. Si sentirebbe ridicolo ad andare a eseguire la danza rituale che stanno danzando i due strafighissimi di fronte a lui. Gli verrebbe da ridere e rovinerebbe tutto.

Intanto eccolo! Dietro i due commedianti spuntano i fari potenti del pullman. I teatranti sono tornati.

Il pullman si ferma davanti alla scuola, i due strafighi a malincuore interrompono il rituale di pre-accoppiamento. Ragazzi e ragazze scendono, si salutano fra loro.
La Punto capisce che è ora di riscuotersi. Brummmm brummmm. Sbadiglia e sbatte i fari.

Figlio Grande, con il suo inconfondibile ombrello di capelli che non conoscono la mano di nessun parrucchiere (né alla moda né non alla moda), si materializza nel riquadro del finestrino con l'aria tra l'assonnato e il preoccupato. Ha paura che papàtassista gli spari un pippone da papàincazzato per il fatto che non l'ha avvisato per tempo del ritardo. Infatti si siede in macchina e comincia subito a giustificarsi.
Papàtassista fa finta di niente. Chiede come è andato lo spettacolo.

La Punto scassata percorre le strade deserte di quello che fu il Regno di Savinuccio Parisi.
Nello specchietto retrovisore i fari di una macchinetta strafighissima. Dentro c'è una mamma strafighissima con accanto qualche figlia sicuramente anche lei strafighissima.

Papàtassista guarda con la coda dell'occhio Figlio Grande con i suoi jeans, i capelli assurdi e la faccia da bravo ragazzo. Nessuno di loro due correrà mai il rischio di diventare uno strafighissimo con il maglioncino di marca portato sulle spalle come il mantello di Superman.
All'uomo con la giacca color verde militare scappa nella penombra un involontario sorriso.

Figlio Grande non se ne accorge. Tranquillo perché ha scampato la possibile sfuriata, pasticcia col suo smartphone. Non è esattamente robaccia cinese che scalda come un ferro da stiro, ma quasi.
La Punto canticchia tra sé e sé.

Papàtassista tende l'orecchio: è " Smooth Operator " di Sade.

 
CERTI COLORI PER LE AUTO DOVREBBERO ESSERE VIETATI PER LEGGE...

 

martedì 12 maggio 2015

"STRONZISSIMI VECCHIETTI"


L'altro giorno sono andato a sfogliare "Luisa ha le tette grosse", il mio secondo romanzo pubblicato con Leone Editore e l'occhio si è fermato su una delle "famose" lettere che Angelo, il protagonista, impiegato frustrato, scrive (senza poi spedirle) per proprio sfogo personale.
 
Nel caso di specie una risposta agli anziani di una Università della Terza Età che hanno fatto richiesta di effettuare una visita dell'azienda.

 

“Stronzissimi vecchietti

siccome non bastavano i marmocchi a sfracellarci le palle con le loro gite scolastiche mascherate da visita di istruzione vi ci siete messi anche voi, ma bravi!

Ma è mai possibile che non abbiate nessun altro modo più interessante di passare le vostre giornate? Non dico portare ai giardinetti i nipoti, che capiamo benissimo sia una rottura di coglioni mondiale ma, per esempio, andarci da soli ai giardinetti, a guardare il culo delle baby sitter o, in subordine, le tette ballonzolanti delle studentesse che fanno jogging!

Siete proprio sicuri che vi interessi passare due ore a girare in un posto maledettamente simile ai merdosi uffici e ai fetenti capannoni in cui vi siete rotti la minchia per tutta la vita?

Premesso che la vostra presenza nei nostri corridoi ci fa piacere più o meno come infilare i testicoli nel frullatore e farlo partire alla massima velocità, se proprio non se ne può fare a meno in quanto - per palese malevolenza nei nostri confronti - avete deciso di venire lo stesso, con la presente vi confermiamo che il giorno 20 del c. m. le porte della nostra azienda non risulteranno sbarrate e che nessuna guardia giurata all’ingresso vi caccerà fuori a calci nei vostri molli deretani, per cui potrete allegramente accedere e venire a tartufarci i maroni.

Nell’occasione, con non poco sforzo, porgiamo i nostri più Distinti saluti”.

 
 
 
(Sfogo che, nel romanzo, gli costerà caro…)
 


VECCHIETTI A CHI???

 


 

mercoledì 29 aprile 2015

EAP Editori a Pagamento, ma non solo


Prima di cominciare a pubblicare (non a pagamento) ho rifiutato, con fastidio, molte proposte di EAP.

Pur ancora convinto che pubblicare a pagamento sia sbagliato e significhi nel 99% dei casi buttare via un po' di soldi per "giocare a fare lo scrittore", con l'aumentare della mia consapevolezza di come funziona il mondo dell'editoria in questo paese, anch'io mi sto convincendo che l'EAP sia solo UNO dei problemi del sistema e non IL problema per eccellenza, come credevo un tempo.

A parte il fatto che il proliferare della realtà dell'auto-pubblicazione (alla portata di tutti con "Amazon" o "Il mio libro") può erodere non poco il pubblico dei "clienti" degli EAP (specie se si tratta di aspiranti scrittori giovani e informatizzati), se anche domattina sparissero magicamente tutti gli EAP, non per questo il sistema editoriale italiano diventerebbe virtuoso e premiante per gli scrittori dotati di talento.

La selezione dei testi da pubblicare da parte di editori piccoli e grandi risente sempre di più dell'imperativo di vendere, vendere, vendere, per cui troppo spesso non sono la qualità, il talento e l'originalità a essere premiati (anche se, per fortuna, si pubblicano ancora diversi buoni romanzi). Che poi, a volerla dire tutta, è un problema a due facce. Da un lato gli editori propongono troppo spesso cazzatine di facile lettura, dall'altra molti lettori comprano solo cazzatine di facile lettura.

Qualcuno in vena di analisi sociologiche da sala d'attesa del dentista, direbbe che è la società in cui viviamo a essersi culturalmente impoverita, anche grazie a decenni di televisione orripilante e film sempre più banali. Il tutto in mancanza di un serio contraltare, scuola compresa: agenzia educativa in caduta libera. Per cui l'Editoria è semplicemente lo specchio della pochezza culturale della società.

Sia quel che sia, è di tutta evidenza che oggi una stellina della Tv con una biografia pruriginosa o un calciatore analfabeta hanno molte più probabilità di approdare in libreria di me o di voi.

Dopo di che, se è vero che è molto difficile per chi pubblica con i piccoli editori arrivare nelle librerie, la realtà è che anche arrivarci può non contare moltissimo. Ho avuto modo di parlare con autori pubblicati da Mondadori, Feltrinelli % Co. che, alla fine, non hanno venduto molto più (se non addirittura meno) di quello che ho venduto io che pubblico con un piccolo editore (molto ben distribuito, a dire il vero). Per il semplice fatto che i loro romanzi non hanno beneficiato di promozione, fosse anche intesa banalmente come un posto ben in vista sugli espositori della libreria (che nelle grosse librerie spesso si pagano, ricordatevelo).

Quello che fa vendere i libri, nel 99% dei casi (salviamo un 1% di casi di libri che diventano popolari tramite il misterioso fenomeno del passaparola), è: A) il fatto che l'autore sia un personaggio famoso o B) un importante investimento promozionale.

Ogni anno vengono pubblicati migliaia e migliaia di romanzi. Quante concrete possibilità ha un autore che cerca di promuoversi coi propri mezzi (e cioè con qualche presentazione e la presenza sui social network) di vendere più di qualche centinaio di copie? Pochissime.

Il lettore più accanito non può arrivare a leggere che qualche decina di titoli l'anno. Con ogni probabilità finirà per pescare le sue letture tra quel centinaio di titoli di cui "si parla", cioè che vengono proposti  in TV o sui giornali o sui blog più importanti. Capiterà anche che legga qualche "sconosciuto", ma raramente.

Una realtà che l'aspirante scrittore deve focalizzare. Per non crearsi aspettative irragionevoli.

Possibili soluzioni? Sono troppo cinico se dico: "realisticamente nessuna"?

A meno di ritrovarsi a essere l'autore di quell'uno per cento di romanzi che, misteriosamente, riescono a girare lo stesso, nonostante la mancanza di investimenti promozionali, grazie al "passaparola" (che deve pur sempre essere innescato e sostenuto da blog e da lettori che su internet hanno un certo seguito e una certa credibilità e, quindi, pur sempre da un'attività di promozione, sia pure non pagata).

Ah, dimenticavo un "piccolo" particolare: sarebbe preferibile che il romanzo che si cerca di mettere in luce non faccia esattamente schifo.
 
PAPA' HO UN'IDEONA! FACCIO I SOLDI CON I LIBRI!!!
 

mercoledì 22 aprile 2015

IL TEMPO


Il tempo è uno strano strumento: suona, ma non ha note.

Il tempo è silenzio da modulare; si piega ai fatti e alle circostanze.

Il tempo è una coperta bagnata di pioggia che aderisce al corpo e pesa, ma anche soffio di vento che solleva un delicato, leggerissimo velo.

Il tempo è soprattutto emozione.

Un minuto può essere eterno e un giorno un frullare d’ali.

Non c’è modo di accettare che un minuto abbia sempre la medesima lunghezza; che un giorno sia sempre uguale a se stesso.

Gli orologi ci provano a convincerci, ma è dura credergli. L’evidenza delle emozioni li smentisce. Gli orologi sono burloni e scorretti: rallentano e accelerano di nascosto, a nostra insaputa, per pura cattiveria.

Quando soffriamo quasi si fermano, in perfido ascolto.

Quando siamo felici corrono, fuggono, rubano ore a piene mani, ficcano mattine e pomeriggi e notti in un misterioso sacco che poi interrano ai piedi di un castagno, nel bosco.

Questo cercano gli gnomi delle foreste: i sacchi pieni del nostro tempo felice, dei minuti sottratti, delle ore trafugate, dei giri di lancette saltati, dei ticchettii che non hanno mai risuonato, del vibrare di pendole che han scordato di battere e dello zufolare di cucù afoni e immobili.

Li portano nelle loro caverne umide e tristi e ne slegano le bocche serrate, le spalancano e lasciano fluire il tempo della felicità degli esseri umani e lo respirano, se ne riempiono i polmoni, come tossici che aspirano i vapori di qualche droga impalpabile e mortale.

Il tempo è uno strano compagno, sempre al nostro fianco, dal primo vagito all’ultimo rantolo, senza mai esserci davvero amico, senza mai essere complice.

Il tempo disegna rune sul cuore, segni misteriosi di paura e dolore.

Il tempo colora d’arcobaleno i pensieri, marchi indecifrabili di felicità passeggere.

Il tempo è uno strano strumento. Ha una musica priva di note.

Non c’è modo di imparare a suonare.

 
EHM... MI SONO AVANZATI "UN PAIO" DI PEZZI...

giovedì 26 marzo 2015

Il "passaparola": arma di istruzione di massa.


Le grandi case editrici hanno i mezzi per mettere gli autori famosi (o quelli che ritengono possano diventarlo) nelle condizioni di essere ben visibili.

È quella che si chiama “promozione del libro”, che va dall’acquisto di spazi pubblicitari, alla sollecitazione di recensioni, fino all’acquisto dei migliori spazi espositivi nelle librerie (qualcuno pensava che la posizione dei libri nei megastore fosse scelta dal libraio? Naaaa! Succede sì e no in qualche libreria indipendente).

Il libro, pur con sue caratteristiche e un suo pubblico particolare, è comunque una merce e come tale viene trattato; con la finalità ultima di essere venduto.

La promozione ha costi importanti. Un piano di promozione che voglia appena, appena essere serio costa migliaia di euro e presuppone, per essere fatto in modo proficuo, il lavoro di un professionista.

A ben vedere le grandi case editrici realizzano la parte più significativa del loro fatturato con pochi titoli, quei cinque o sei best seller che abitano nel corso dell’anno le vette delle classifiche. Le altre centinaia (per le case editrici più grandi: migliaia) di titoli pubblicati nel corso dell’anno portano introiti magari complessivamente interessanti ma, comunque, molto modesti se rapportati al singolo titolo. Perché il nostro mercato editoriale ha dimensioni ridotte e spesso anche i romanzi pubblicati da Mondadori & Co. vendono poche centinaia di copie.

Senza promozione non basta il “marchio”, non basta aver pubblicato per un grosso editore, si resta sconosciuti (e quindi invenduti) lo stesso.

Sintetizzando, per quanto riguarda la narrativa  il bilancio dei grossi editori si fa soprattutto con le “Cinquanta sfumature di grigio” che vendono una milionata di copie e solo in minima parte con la restante massa di autori, magari bravi, magari originali, che raramente arrivano a esaurire la prima tiratura.

Se questa è la realtà nelle grandi case editrici, figuratevi quale può essere la realtà degli editori piccoli e piccolissimi. Quali e quante risorse hanno da mettere in campo per fare promozione?

E, di conseguenza, quanto può realisticamente vendere un loro autore?

Nonostante ciò, ogni tanto (è raro ragazzi, maledettamente raro…), un autore pubblicato da un piccolo editore e lanciato sul mercato senza l’aiuto di significative forme di promozione, riesce a uscire dall’anonimato. Il libro gira. Gira abbastanza da farsi notare da un grosso editore che decide di “mettere sotto contratto” l’autore e di ripubblicare il suo libro, questa volta con la spinta di una vera promozione.

Come succede il miracolo? Attraverso quel fenomeno misterioso e spontaneo che si chiama PASSAPAROLA. Fenomeno evocato e invocato dagli esordienti e dagli “emergenti” in cerca di visibilità, che a esso offrono sacrifici nelle notti di luna piena (eheheheh… vabbè… per dire!).

Perché, nonostante tutto, quella dei lettori è una grande comunità trasversale che va al di là delle differenze di sesso, età, estrazione sociale. La passione comune fa in modo che una operaia sinistroide di Caltanissetta possa convincere, magari con una banale recensione su Anobii, un avvocato di destra di Belluno che il romanzo di uno sconosciuto scrittore di Bari (toh, una città a caso!) è proprio bello e che vale la pena andare a rompere le scatole al libraio di fiducia per fargliene procurare una copia.

Sì, lo so, la sto facendo un po’ troppo “mielosa”, ma in qualche modo è così.

Per questo noi autori poco noti al grande pubblico popoliamo i siti degli amanti della lettura e i social network, nella speranza di innescare il salvifico processo del PASSAPAROLA in modo da raggiungere poco per volta, passettino per passettino, una massa critica di lettori sufficiente a far diventare noto il nostro nome. Cosa che ci permetterà, al successivo romanzo, di avere qualche speranza in più di essere letti.

Altro non può fare, per esempio, uno come me che di soldi da investire in promozione proprio non ne ha.

Il rischio è, chiaramente, quello di strafare e annoiare. Perché è inutile ripetere alle stesse 100 persone una infinità di volte gli stessi messaggi. Anche qui bisogna imparare. Bisogna imparare a frenare, a trovare la misura. E bisogna anche sforzarsi di regalare qualcosa a chi ci legge, magari anche solo un sorriso o delle informazioni o una riflessione. Che è quello che cerco di fare.

Se vi è capitato di leggere un mio libro e non vi è dispiaciuto, regalatemi qualche minuto del vostro prezioso tempo, per raccontare a qualcuno, magari nella pausa caffè, oppure sul vostro social network preferito, che avete “scoperto” un buon romanzo.

Le piccole recensioni su Amazon, su IBS, su Anobii o su FB, hanno la loro importanza. Mattoncini di un plastico che si spera, poco per volta, possa diventare grande.

Io non ho cannoni con cui combattere la guerra della promozione letteraria. Ho solo il buon, vecchio PASSAPAROLA. Ma è anche vero che, come ci ha insegnato Sandokan, a volte si possono vincere grandi battaglie anche avendo a disposizione solo un manipolo di coraggiosi pirati malesi armati di piccoli “kriss” dalla lama ricurva!

TIGROTTI DI MOMPRACEM.... A ME!!!

mercoledì 25 febbraio 2015

Come nasce un romanzo. La genesi di "Extasia".



Ogni romanzo ha la sua storia, la sua genesi.

Extasia è figlio di un periodo di frustrazione.

Dopo la pubblicazione di "Pinocchio 2112" (nel 2009) e di "Luisa ha le tette grosse" (nel 2011), i successivi romanzi inviati in visione a Leone Editore non avevano intercettato i gusti della casa editrice. Ogni volta mi veniva risposto che il lavoro era buono, ma che stavano cercando "altro".

Una situazione frustrante per un autore che vorrebbe affacciarsi con un minimo di frequenza in libreria. Così ho deciso, a mente fredda, a tavolino, di scrivere un romanzo che potesse andare bene per loro.

L’ho vissuta come una sfida: una specie di prova di maturità. “Vuoi fare lo scrittore?” Mi sono detto. “Vuoi farlo sul serio, dimostrare che puoi farlo per mestiere? Allora tira fuori una storia avvincente, piena di azione, di quelle che catturano l'attenzione, una storia che un editore in cerca di titoli con potenzialità commerciali non possa ignorare tanto facilmente”.

Così ho cominciato a lavorare al romanzo.

Nello stesso periodo ero impegnato nella stesura a quattro mani insieme al mio amico Antonio De Santis, sceneggiatore e autore teatrale, della sceneggiatura di un film comico. La mia prima esperienza seria, professionale, in questo campo. Lavorare a una sceneggiatura è qualcosa di totalmente diverso che lavorare a un romanzo. Diversa la prospettiva, diverso il tipo di scrittura, diverso l'obbiettivo finale. Ciò premesso la stesura di una sceneggiatura passa necessariamente attraverso una serie di fasi preparatorie: un primo canovaccio, poi uno "scalettone" con l'abbozzo delle scene, quindi una scaletta più articolata col dettaglio delle scene stesse, per poi finire a riempire quelle scene di contenuto, scrivendo i dialoghi, che sono l'essenza della scrittura per il cinema.

Se la modalità di scrittura è differente, la tecnica di base, però, ha molti punti di contatto con quella che usano numerosi professionisti per impostare e costruire i loro romanzi.

Non che sui romanzi precedenti non avessi fatto un lavoro preparatorio, in alcuni casi anche molto lungo, ma questo si era svolto in gran parte dentro la mia testa; avevo girato e rigirato nelle mente prima l'idea, poi la trama e infine la possibile stesura del romanzo. Inoltre mi era capitato di prendere appunti – certo - di fissare a grandi linee la storia.

Con Extasia, però, al pari della sceneggiatura, ho fatto un lavoro più sistematico, più “tecnico”. Sono partito da una prima bozza, delineando la vicenda a grandi linee, in una specie di iniziale sinossi, per poi scriverne una seconda versione, più descrittiva, lunga diverse pagine. Infine ho preparato una scaletta con gli snodi della trama e le scene salienti. E qui si è concentrata la gran parte del lavoro creativo. A latere poi ho scritto delle brevi schede-personaggio, fissando su carta (e nella memoria) i tratti essenziali, il carattere e la storia personale dei miei protagonisti, in modo da “conoscerli”, capirne la psicologia; in questo modo mi è risultato più facile immaginarne il modo di parlare, di reagire nella varie situazioni in cui poi li ho fatti muovere.

A questo punto sapevo tutto della storia, non come in altre occasioni in cui avevo solo alcune idee di base e delle suggestioni da seguire. E mai come in un romanzo di azione e di avventura è bene sapere cosa sta per succedere e dove si sta andando; la storia deve funzionare come un meccanismo ben oliato, che gira senza incepparsi, senza “buchi” nella trama. Un meccanismo che deve prevedere numerosi “colpi di scena”, cambiamenti di prospettiva, situazioni inaspettate.

La stesura vera e propria del romanzo, a questo punto, è stata veloce e senza particolari difficoltà. Ho scritto Extasia in un paio di mesi e le modifiche successive hanno riguardato solo dettagli secondari e le inevitabili limature del testo. È stata, come si suol dire: "buona la prima". Perché i dubbi erano giù stati affrontati e risolti e il lavoro preparatorio era stato sufficientemente accurato. Non maniacale e super dettagliato, come fanno alcuni autori, ma abbastanza approfondito da permettermi di sapere da dove stavo partendo, dove volevo andare e che strada fare per arrivarci.

Non ho la presunzione di pensare che Extasia sia un romanzo straordinario. Credo e spero sia un buon romanzo, costruito con una certa cura, con personaggi credibili e un buon ritmo. C'è l'ambientazione in un futuro distopico, ci sono le avventure, ma anche i sentimenti e l'evoluzione psicologica dei personaggi e c'è un "cattivo" particolarmente ben riuscito…

Insomma, se doveva essere una prova di maturità, penso di averla superata.

Ho spedito Extasia alla Leone con una certa fiducia. E, infatti, il romanzo è piaciuto ed è stato preso senza problemi.

Così sono di nuovo in corsa: una mia storia è di nuovo sugli scaffali delle librerie.

E io ho più che mai voglia di rifarlo ancora.

 

Attenzione! Leggere provoca gravi conseguenze quali: divertimento e apertura mentale!

 

mercoledì 21 gennaio 2015

EXTASIA (ovvero: i romanzi sono un po' come dei figli…)


I libri per uno scrittore sono un po' come dei figli (in senso figurato, ci mancherebbe!); del resto certe volte non bastano nove mesi per "partorirne" uno.

Quando si ha una famiglia numerosa è inevitabile che l'emozione della nascita vada un po' stemperandosi, via via che i figli vengono al mondo. Così succede anche con i libri.

Perciò se prima dell'uscita di "Pinocchio 2112", il mio primo romanzo, ero uno di quei padri isterici che vanno avanti e indietro fuori dalla sala parto, oggi sono un padre teso, ma presente a se stesso, che attende in modo composto la nascita del suo quarto figlio.

Infatti a partire dal 18 febbraio 2015, arriverà in libreria EXTASIA, il mio quarto romanzo. Il terzo su carta. Di nuovo con Leone Editore e, di nuovo, a distanza di cinque anni, un romanzo con ambientazione fantascientifica.

Per la verità le distinzioni di genere mi hanno sempre interessato poco. Né ho mai avuto la presunzione o la velleità, come autore di fantascienza, di scrivere qualcosa di assolutamente rivoluzionario o innovativo. La mia attenzione, le mie energie, sono concentrate sui personaggi, sulla trama, con la speranza di consegnare ai lettori (siano o meno appassionati di fantascienza) una storia avvincente.
 
Questo aspira a essere EXTASIA, col suo racconto delle vicende di Dany ed Eva, fratelli adolescenti in fuga dal padre psicopatico, sullo sfondo di un mondo sfatto e morente.

Non ho avuto bisogno di immaginare eventi straordinari e inattesi per disegnare il futuro in cui è ambientata la storia, mi è bastato – purtroppo – portare alle estreme conseguenze i meccanismi distruttivi oggi già in atto: inquinamento, crisi economica, perdita di solidità e di coesione dei sistemi-stato.

La città senza più elettricità, senza più un governo, preda delle bande criminali, invasa dalle droghe (tra cui spicca l'EXTASIA del titolo), devastata da nuove malattie per le quali nessuno è più in grado di trovare delle cure, è uno scenario tristemente probabile, quasi obbligato, se la nostra società non saprà trovare il modo di cambiare rotta.

La triste banalità del male, direbbe qualcuno.

Vedremo se e come saprà camminare questo nuovo nato.

Mi piace molto che, con l'uscita di EXTASIA, Leone Editore abbia deciso di pubblicare anche un'edizione economica di "Pinocchio 2112", in un'ideale staffetta tra i due romanzi, per chi fosse curioso di leggere anche questo primo libro che ha collezionato davvero buone recensioni sul web e sui social network dei lettori (Anobii e Goodreads), nonostante abbia scontato la circostanza di essere stato una delle prime pubblicazioni della Leone Editore, quando ancora la casa editrice non aveva una buona distribuzione e un nome conosciuto.

Mi faccio da solo un in bocca al lupo. Nella speranza che i romanzi, come i figli, imparino a camminare con le loro gambe e possano andare lontano.

O, comunque, abbastanza lontano da finire nelle vostre mani.
 
VAI PICCOLO! SPACCA IL MONDO!!!