venerdì 6 luglio 2012

Romanzi & coliche.

Ho in testa una bellissima storia.
E’ lì da quasi un anno, nel corso del quale è cresciuta, poco per volta, come una piantina, come un cucciolo, come gli interessi del mutuo, e ora sta seduta in un angolo e spesso neanche mi accorgo che c’è; poi all’improvviso, nel bel mezzo di un altro pensiero, mi torna in mente e allora la riguardo con affetto e mi sento insieme bene e male. Bene perché è come avere un piccolo tesoro in banca a cui sai che potrai attingere; male perché la storia ormai è abbastanza cresciuta e sarebbe arrivato il momento di metterla nero su bianco, di darle una forma, e invece non trovo il tempo, perché il poco che riesco a dedicare alla scrittura è sempre riservato a altro: ci sono le bozze di un precedente lavoro da rivedere, c’è un racconto da scrivere per un concorso, c’è il blog da aggiornare, c’è una recensione da abbozzare.
Una storia come quella che ho in testa non si può scrivere nei ritagli di tempo, richiede un periodo tutto per sé, bisogna dedicarle la giusta attenzione, immergersi nella trama, seguirla, svilupparla con la necessaria regolarità.
Cerco di tranquillizzarmi ripetendomi che non devo avere fretta, che prima o poi troverò il modo di scriverla, ma intanto mi vengono pensieri assurdi, demenziali, del tipo: e se morissi stanotte nel sonno? E se prendessi un colpo in testa e mi svegliassi con la memoria azzerata? E se l’Italia finisse sotto una dittatura che vieta la pubblicazione di qualsiasi libro tranne quelli con cui Bruno Vespa tesse le lodi del Grande Dittatore?
Scrivere è così: una mediazione dolorosa tra l’effervescenza della mente che immagina a profusione e la stitichezza della mano che traduce faticosamente l’idea in fogli scritti. E la stitichezza e tanto più ostinata quanto più la vita dello scrittore è occupata da mille altri impegni, primo fra tutti quello di procurarsi da vivere, visto che di scrittura non campa quasi nessuno.
Certe volte mi prende l’angoscia e mi convinco che non riuscirò più a scrivere un romanzo, che sarò destinato in futuro a “espellere” al massimo qualche racconto e qualche frettoloso post su internet. Invece poi succede di nuovo; in qualche modo miracoloso la storia si alza dall’angolo della mente in cui è stata seduta per tanto tempo e comincia a venire fuori dalle dita. Per vie misteriose trovo le ore in cui portare avanti il lento lavoro del romanzo, spesso rubandole a altro, perché non ci sono alternative: il giorno non si può dilatare come un palloncino che gonfi d’aria.
Da un lato i sensi di colpa, dall’altro l’urgenza di "evacuare" finalmente la storia.
Sì lo so che non è elegante la metafora del romanzo/colica e che sarebbe stato più poetico usare l’abusata metafora del romanzo/parto, ma rende bene l’idea: con la stessa urgenza con cui la colica deve “sfogare” anche il romanzo deve per forza venire alla luce. Sennò la bella storia diventa una dolorosa fissazione, il piccolo tesoro tenuto da parte diventa un pesante debito da pagare.
Decisamente è arrivato il momento. Dovrò assolutamente trovare il modo di liberarmi di questa storia. E sapete perché?
Perché nel frattempo me ne sta già venendo in mente un’altra bellissima!



Giovane scrittore intento a "liberarsi" dalle sue storie.

Nessun commento:

Posta un commento

Qualsiasi commento scritto con quello strumento meraviglioso che è l'educazione sarà bene accetto :-)