mercoledì 4 aprile 2012

Auto pubblicazione. Considerazioni & Dubbi.

Che ne pensate dell’auto-pubblicazione (o self publishing se preferite la dicitura anglofona)?
Trionfo democratico della creatività o indistinta palude in cui affonda la meritocrazia?
E’ un bene che chiunque possa pubblicare e, così, esprimersi, farsi leggere e, potenzialmente, diventare famoso, oppure ritenete che se troppi pubblicheranno nessuno verrà davvero letto (se non da pochissimi) e, alla fine, (come ha sostenuto, caustico, un critico di quelli che scrivono sui giornaloni) sarà un po’ come scrivere sulle pareti dei bagni degli Autogrill?
Chi vi scrive appartiene a una generazione per la quale pubblicare un libro ha sempre voluto dire (concettualmente) trovare un editore serio e professionale che giudica buono il tuo lavoro (perché ha competenza) e decide di metterlo sul mercato. Detto questo il mondo editoriale/letterario sta cambiando e chi scrive non è così vecchio da non rendersene conto e riesce ancora (incredibile eh?) a seguirne i mutamenti. Ma non per questo si sente soddisfatto.
Il WEB pullula di discussioni (e di offerte per pubblicare a costi più o meno contenuti) che prendono talvolta toni epici, quasi mistici. Ho letto ponderose teorizzazioni sul significato sociale e/o politico e/o filosofico di questa rivoluzione, di questo cambio di prospettiva che permette a chiunque abbia un PC e un collegamento a internet di diventare “scrittore”, con relativi insulti all’editoria tradizionale che strozza e blocca la creatività di troppi geni incompresi ed esaltazione del potere salvifico della Rete che consente, in estrema sintesi, “tutto a tutti”. Appena il caso di sottolineare che gli insulti all’editoria tradizionale non vengono dagli autori che pubblicano (e vendono) con detti editori ma, in genere, da quelli che sono rimasti fuori dalla spartizione della torta…
E giù tutti a richiamare l’esempio di quei (pochi, diciamo la verità) casi editoriali di libri auto-pubblicati che sono riusciti a vendere un paccone di copie!
Ma qui c’è odore di contraddizione perché una cosa è parlare di democrazia del WEB e di possibilità di esprimere liberamente la propria creatività e un’altra cosa parlare di vendite e soldini messi in saccoccia. Credo che tutti siamo ben consapevoli che successo nelle vendite e qualità non vanno necessariamente di pari passo e che talvolta vendono molte copie e fanno guadagnare parecchio dei pessimi libri (prodotti o auto-prodotti che siano).
I teorizzatori della bontà dell’auto pubblicazione insistono sul punto che “il lettore ha sempre ragione” e che devono essere i lettori a decidere cosa è buono e cosa è cattivo, senza la mediazione degli editori. E’ un bel concetto, suona bene e magari, in linea del tutto teorica, è anche giusto. Ma poi mi guardo intorno, penso al modo in cui io per primo utilizzo il WEB, al modo in cui vengono presentati e offerti al potenziale lettore i libri auto-prodotti e mi dico che, nella pratica, la cosa non sta in piedi.
Siti-mostro in cui, come api nelle loro cellette, un numero infinito di auto-scrittori espongono il loro libro, come bancarelle di un mercato talmente immenso che nessuno ha speranza di girarne se non una piccola parte. Un tutto elefantiaco e indistinto in cui esserci è come non esserci visto che solo chi viene indirizzato a calci (informatici) nel sedere finirà su quella specifica bancarella, in quanto l’eventualità che qualcuno ci capiti per caso diventerà sempre più infinitesimale col proliferare dell’offerta.
Auto pubblicarsi e lasciare lì il proprio lavoro, in attesa che il WEB se ne accorga, sta diventando come accendere una torcia elettrica e ospitarla nel deretano (come ha sintetizzato, caustico, un mio amico che non scrive per nessun giornalone).
Auto pubblicazione nell’immediato futuro significherà sempre più auto promozione. Significherà sempre più marketing. Quindi mi viene il sospetto che la "fantastica" soluzione dell’auto pubblicazione non sia tanto uno strumento che consente a chiunque di diventare scrittore quanto piuttosto uno strumento che consente di farsi notare a quelli tra gli aspiranti scrittori che sono anche bravi venditori.
Lo so, lo so, qualcuno si starà già incazzando pensando che anche mettendo in campo il miglior marketing librario non si potrà vendere un libro orribile. E posso essere d’accordo. Ma, secondo me, un libro auto prodotto che sia appena passabile, promosso in modo “professionale”, venderà probabilmente 100 volte più di un ottimo libro lasciato a languire senza promozione da uno scrittore timido o imbranato.
E allora di che democrazia creativa stiamo parlando?
La mia non è assolutamente una battaglia contro l’auto-pubblicazione. Solo un tentativo di ragionare sull’argomento. Non sto dicendo che l’auto pubblicazione debba andare debellata come la gramigna e, anzi, confesso senza problemi che, pur pubblicando i miei romanzi con un editore tradizionale, sto pensando seriamente alla possibilità di auto pubblicare.
Pensavo, per esempio, a una raccolta di racconti (magari solo per raccogliere in un unico volume quelli presenti nelle raccolte di piccoli editori in cui sono stato pubblicato negli anni scorsi) o, magari, a una raccolta di pezzi e racconti comici. Con la consapevolezza, però, almeno per quanto mi riguarda, che si tratterebbe di qualcosa di diverso da una “vera” pubblicazione.
Ma poi davvero le case editrici (quelle serie, intendo), pur con tutti i loro difetti, non hanno una più ragione di essere? Davvero sono solo macchine da soldi? Davvero non conservano tuttora - accanto all’indubbia tendenza predatoria - una funzione anche “qualitativa”, una valenza di setaccio, cui magari sfuggono di tanto in tanto lavori di pregio, ma capace di filtrare la gran parte dei manoscritti di qualità scadente?
Sono davvero così tante le opere geniali che non trovano editore? Ho dei dubbi.
Non so. Confesso che sull’argomento sono un po’ confuso…

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