giovedì 29 marzo 2012

Il "mistero" poco misterioso delle (tante) piccole case editrici italiane

Da quando pubblico le cose che scrivo, sono diventato curioso delle dinamiche e dei meccanismi del mondo dell’editoria. Così spesso mi soffermo a leggere le discussioni tra appassionati  e/o esperti e vado a caccia dei (pochi) dati disponibili (interessanti quelli dell’ISTAT, anche se troppo “aggregati” per avere un quadro esaustivo).
Qualcosa credo di averla capita.
Che in Italia si comprino pochi libri mi pare un fatto noto. Il nostro mercato editoriale, in proporzione,  è piuttosto piccolo rispetto a quello degli altri grossi paesi europei.
Nonostante ciò abbiamo più di 7000 case editrici (l'ultimo rapporto disponibile parla di 7009).
Premesso che una gran parte ha in catalogo pochi titoli o non pubblica per niente (sono in pratica realtà “amatoriali”, molte solo digitali), tra le circa 1700 case editrici che pubblicano con regolarità, la stragrande maggioranza è composta da “piccoli editori” che si dividono una quota di mercato minuscola.
Lo sapete quel è la tiratura media di un libro edito da una piccola casa editrice? Nella migliore delle ipotesi vengono stampate 1.000 copie, spesso 500, non di rado 200. E sapete quanti tra le migliaia di autori che ogni anno pubblicano con una piccola casa editrice riescono a vendere le copie della prima tiratura? Se va bene uno su dieci. E sospetto che la mia sia una stima per eccesso.
Secondo un articolo letto un po’ di tempo fa, si stima che 6 romanzi su 10 tra quelli pubblicati dai piccoli editori non arrivino a vendere 100 copie, di cui spesso neppure una venduta in libreria; in pratica vengono vendute solo le copie che l’autore stesso piazza a amici e parenti.
Per un autore che pubblica con una piccola case editrice superare le 500 copie vendute può ritenersi un ottimo risultato, che viene raggiunto da pochi. Superare le 200 copie è già un risultato accettabile (del resto, a meno che si tratti di volumi fatti con particolare cura, il numero di copie che un editore deve vendere per recuperare le spese varia il più delle volte tra le 250 e le 300).
In un mondo editoriale che vive su una manciata di best seller ogni anno, che concentrano l’80% delle vendite (le grosse case editrici fanno il loro fatturato sui primi 10 titoli venduti del loro catalogo, le centinaia di altri titoli pubblicati nel corso dell’anno sono spesso solo “tentativi” di indovinare un inaspettato best seller) come fa a esserci posto per tutti questi piccoli editori?
E infatti il posto non c’è e molti piccoli editori nascono e chiudono nel giro di qualche anno.
La risposta al perché nonostante tutto ci siano così tante piccole case editrici è, come ben sanno molti aspiranti scrittori, che per una buona fetta non sono “vere” case editrici ma Editori a Pagamento.
Poi esistono anche molti ibridi e cioè editori che investono su un certo numero di libri, in cui credono, e contemporaneamente pubblicano anche libri “a pagamento” per trovare i soldi per far quadrare il bilancio e restare a galla.
Ecco perché non è vero che in Italia è difficile pubblicare. Quello che è difficile, piuttosto, è pubblicare “bene” e poi vendere e far leggere quello che si pubblica.
Siccome l’editore a pagamento fa i suoi guadagni sul cliente/scrittore, a cui per pubblicare chiede somme talvolta oscene, direttamente o sotto forma di acquisto obbligatorio di, diciamo, almeno 300 copie del romanzo (vi ricordate quello che dicevo prima? Che vendendo 250/300 copie l’editore ha compensato le spese?), il suo interesse per la diffusione e la vendita del libro è molto vago.
La stragrande maggioranza degli editori a pagamento non solo non fa un serio editing del libro, ma non fa proprio nessun editing, al massimo una frettolosa correzione delle bozze (l’autore viene rassicurato che scrive benissimo e che con ritocchi minimi il libro sarà bello e pronto), non ha una vera distribuzione (il libro non arriva nelle librerie o arriva solo in poche librerie condiscendenti) e non fa promozione (al più viene organizzata una presentazione, tanto per dare il “contentino” allo scrittore).
Quindi tra pubblicare con uno di questi editori a pagamento e pubblicare da soli con uno dei sistemi di autopubblicazione che stanno spuntando come i funghi c’è di solito un’unica differenza: pubblicare da soli costa molto ma molto meno.
Naturalmente il panorama è vario, per cui ci sono anche editori a pagamento meno beceri, che coniugano il business con un’accettabile professionalità. Direbbe qualcuno che questi hanno una loro ragione di esistere. Io francamente non sono altrettanto indulgente: l’editore è un imprenditore, sia pure particolare, e come tale DEVE assumersi i rischi d’impresa. Altrimenti che faccia un altro mestiere.
C’è sempre qualcuno che esce fuori con l’esempio del tale autore che ha pubblicato un libro a pagamento e poi è riuscito a vendere ed è diventato “famoso”. A ben vedere sono casi così eccezionali da non avere rilievo statistico. E sono convito che se andiamo analizzare il “caso editoriale” scopriremo che si tratta di autori che vendono perché sono bravi a farsi pubblicità da soli e che, quindi, avrebbero venduto anche auto pubblicandosi.
La mia – si badi bene - non vuole essere una condanna dei piccoli editori ma, al contrario, un intervento a favore dei piccoli editori seri (udite, udite: esistono!) che combattono una battaglia difficilissima per sopravvivere in un mercato asfittico, inquinato da competitors sleali.
La rete da questo punto di vista offre grandi opportunità in quanto, spendendo un po’ di tempo tra forum e siti per aspiranti scrittori, ci si può fare un’idea sulla reputazione delle case editrici.
Il mio invito appassionato a chi scrive è di NON PUBBLICARE CON UN EDITORE A PAGAMENTO. Se nessun autore si piegasse a questi ricatti e partisse dal presupposto che una pubblicazione a pagamento NON E’ UNA VERA PUBBLICAZIONE, le tipografie travestite da casa editrice scomparirebbero e rimarrebbero sul mercato solo gli editori che fanno davvero il loro lavoro.
Anche sul fatto di auto-pubblicare utilizzando siti come “Lulu” o “Il mio libro” ho forti perplessità (direbbero i più giovani che le mie sono resistenze culturali legate al fatto che sono un autore sulla 40ina legato a un’idea troppo tradizionale dell’editoria e magari hanno ragione), ma mi sembra comunque una soluzione preferibile rispetto all’editore a pagamento. Per lo meno è un sistema democratico ed economico. Fermo restando che bisogna avere la consapevolezza che le opportunità di vendere sono poi molto basse e tutte legate alla capacità dell’autore di fare marketing e promuoversi efficacemente in proprio.
E sapersi vendere in modo efficace non significa di per sé essere un buon scrittore.
Ma questo è un altro discorso.


2 commenti:

  1. Davvero interessante il tuo articolo... secondo me bisognerebbe scriverne uno anche dedicato agli scrittori, perchè su 1000 che pubblicano, 3 forse meritano davvero una pubblicazione, il primo passo sarebbe quindi secondo me una capacità di autoanalisi, per non affollare una "piazza" già troppo affollata così com'è...

    J.

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    1. In linea teorica sono assolutamente d'accordo con te. Una sana capacità di autovalutare il proprio lavoro dovrebbe essere il presupposto fondamentale per proporsi ai lettori. Non è assolutamente vero, come recita il CLAIM di un noto sito, che "se l'hai scritto va pubblicato". Va pubblicato, invece, solo se è un po' più che decente. va pubblicato se è buono. Detto questo quante persone possiedono una seria capacità di autoanalisi? E' merce rara a tutti i livelli. Magari io per primo che scrivo non so davvero valutare me stesso e mi sopravvaluto alla grande :-) :-)

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Qualsiasi commento scritto con quello strumento meraviglioso che è l'educazione sarà bene accetto :-)