venerdì 7 dicembre 2012

Papà ma tu che lavoro fai?

<Papà ma tu che lavoro fai?>
<Come che lavoro faccio Marcolino? Faccio lo scrittore, no?>
<Mmmm… sì ma… cioè… cosa vuol dire che fai lo scrittore?>
<Vuol dire che scrivo delle storie che poi vengono pubblicate>
<Scrivi delle storie…>
<Sì>
<E dove le trovi queste storie?>
<Non le trovo. Le invento>
<Allora sei un inventore!>
<No… sì… in un certo senso… Vabbè, diciamo che non si dice inventore di storie ma si dice scrittore>
<Sì ma, dopo che hai scritto la storia sui fogli…  cosa fai?>
<Beh sai, c’è molto lavoro per arrivare a pubblicare un libro…>
<Ah cioè bisogna prendere i fogli e incollarli…>
<No, no, che c’entra, mica le faccio io queste cose>
<Non sei capace? Le fa mamma?>
<No… cioè non importa se sarei capace o no di farlo. Queste cose le fa il tipografo>
<Il ti.. il pi… go… frago…>
<Tipografo, Marcolino. Sì, insomma, quello che ha le macchine per stampare i fogli, tagliarli e incollarli insieme… che poi a essere precisi si dice rilegare…>
<Regalare?>
<No regalare: rilegare!>
<Ah… però… che bel lavoro il pipografo!>
<Tipografo!>
<Sì, proprio un bel lavoro quello>
<Anche lo scrittore però non è male, non trovi?>
<Sì, abbastanza… però sono belle le macchine che tagliano i fogli e poi li rigl… li rigle…>
<Li rilegano>
<Ri-le-ga-no! Giusto?>
<Giusto>
<Quindi è il tipografo che fa i libri per davvero. Tu scrivi solo la storia…>
<Ti sembra poco???>
<No, no… serve anche quello, sennò il tipografo non avrebbe niente da ri-le-ga-re>
<Direi di no>
<E dopo che il libro è pronto, tutto bello ri-le-ga-to, cosa ci fai? Lo metti sulla libreria in salotto?>
<No Marcolino. Cioè una copia la tengo lì per ricordo, ma il tipografo non ne stampa una sola: ne stampa tante!>
<Dieci?>
<No, molte di più>
<Venti?>
<Di solito ne stampa almeno cinquemila>
<Sono tantissimissimissime?>
<Sono tante, sì>
<E dove li conservi tutti questi libri?>
<Ma no, non li conservo io!>
<Ce li ha il nonno in campagna?>
<No Marcolino. I libri dopo che sono stati stampati vengono portati dentro dei grandi depositi>
<Anche il nonno ha un garage grande>
<Sì ma i depositi dei libri devono essere più grandi perché ci sono tanti scrittori>
<Ah allora lo scrittore è un lavoro facile, lo fanno tutti>
<No non lo fanno tutti!>
<Insomma i libri li portano nei depositi e restano là…>
<No, non restano là. Poi li portano nelle librerie. Ti ricordi quella che sta in centro dove andiamo a prendere i libri di favole?>
<Quella vicino al gelataio?>
<Sì, quella…>
<Vicino al gelataio che fa il cioccolato e la fragola?>
<Sì…>
<Che bel lavoro il gelataio!>
<Sì… è un bel lavoro…>
<Perché non fai il gelataio?>
<Perché faccio lo scrittore>
<Fai lo scrittore perché non sai fare i gelati?>
<Faccio lo scrittore perché mi piace scrivere!>
<Ma li sai fare i gelati?>
<No, non li so fare!>
<Ah ecco, mi pareva…>
<Gelatai ce ne sono tanti>
<Anche di scrittori. L’hai detto tu che ci sono depositi pieni di libri…>
<Sì, d’accordo… ma poi i libri vanno in libreria>
<Vicino alla gelateria…>
<Ok ma la gelateria non è importante>
<Lo dici tu! Me lo compri un gelato oggi pomeriggio?>
<Va bene, te lo compro! Comunque, come dicevo, i libri vanno in libreria. Dove le persone li comprano>
<Li comprano?!>
<E certo, sennò che li scrivo a fare?>
<Avevi detto che scrivevi perché ti piaceva scrivere!>
<Vero. Ma se vogliamo avere i soldi per comprare il gelato bisogna che il papà i libri non solo li scriva, ma anche li venda…>
<Aspetta ho capito!>
<Hai capito?>
<Sì: tu vendi libri, ecco cosa fai di lavoro!>
<Ossignore…>
<Quando usciamo a comprare il gelato?>

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P. S.
il dialogo, chiaramente, è inventato :-))

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MA PAPA'... CHE LAVORO FA?

venerdì 30 novembre 2012

OKKUPAZIONI E PROF "LATITANTI"...

Cronaca di queste ore: scuole occupate, ragazzi in fermento.
Che si condividano o meno le motivazioni della protesta, io trovo interessante e tutto sommato positiva questa diffusa "voglia" dei ragazzi di partecipare e di incidere sui destini del mondo che li circonda (a proposito, qualcuno dei genitori che assiste infastidito all’exploit dei propri figli ha capito che, tra le altre cose,  c’è un tentativo in atto di consegnare una fetta della scuola pubblica in mano ai privati, consentendogli di investire dei soldi nelle scuole, a fronte del diritto di sedere nei consigli di istituto, incidendo sulle scelte e l’organizzazione della scuola stessa? Anche a me non è che la cosa piaccia molto!).
Il desiderio di capire e di “fare” di molti ragazzi mi sembra comunque preferibile al conformismo addormentato di quelli chi si lasciano scorrere le cose addosso senza nessuna reazione (come succede, del resto, in questi mesi, a una fetta pericolosamente consistente dell’opinione pubblica italiana di fronte a ben altre decisioni prese a livello centrale).
Lo dice, col senno di poi, uno che negli anni del liceo in questi casi se ne andava semplicemente a giocare a pallacanestro, cosa di cui oggi mi dispiace. Perciò sono contento, in linea di massima, che i miei figli siano interessati a quello che gli succede intorno (il che NON significa che io sia tranquillo… ma preoccuparsi per l’incolumità dei figli è l’occupazione principale dei genitori, no?).
Certo avrei preferito non vedere ripetere all'infinito l'abusata forma di protesta dell'occupazione, che ha in sè sempre una componente di imposizione e di violenza, e vedere utilizzare invece modalità più fantasiose e creative. E forse anche più efficaci. Ma questa è un'altra storia.
Quelli, invece, che mi lasciano perplesso sono gli insegnanti.
Profondamente insoddisfatti, ripetono da anni che è in atto un tentativo di massacrare la scuola e di affossare ancor più il loro ruolo e la loro professionalità, ma poi troppi di loro stanno alla finestra.
I ragazzi sono sulle barricate, i genitori vivono il momento con ansia, sperando che non succedano casini, ma i prof in prima linea mi sembrano molto pochi. Perché non sono anche loro davanti alle scuole, in massa, a rendersi disponibili a partecipare o a realizzare insieme ai ragazzi dei corsi autogestiti? Perché non approfittano del momento per organizzare incontri con personalità di rilievo che parlino ai ragazzi di confronto democratico e di lotta per i diritti (anche in modo da far riflettere chi occupa, spingendolo a rimanere in limiti di buon senso)? Non parlo, chiaramente, di propaganda politica. Sarebbe squallido. Parlo di usare anche la circostanza, di canalizzare l’entusiasmo del momento per offrire occasioni di crescita. Non sarebbe interessante far parlare qualcuno capace di spiegare, che so,  come si approva una proposta di legge, come si converte in legge uno dei decreti che stanno contestando, insomma come funziona il nostro sistema? Perché questa strisciante impressione che, a parte un certo numero di lodevoli prof che si spendono in trincea con costanza e passione, gli altri abbiano “mandato avanti” i ragazzi perché combattano anche la loro battaglia, mentre loro sono acquartierati nelle retrovie?
In questo modo, tra l’altro, si dà una pericolosa “sponda” a chi, come Monti, ha liquidato tutta la faccenda come una banale “difesa di interessi corporativi”, dando effettivamente l’impressione che agli insegnanti interessi solo non lavorare qualche ora di più a costo zero (cosa peraltro comprensibilissima: nemmeno io vorrei lavorare qualche ora in più in ufficio a costo zero!).
Invece poche volte come in questa occasione gli interessi di docenti e studenti, e conseguenza le “battaglie” (nel senso ideologico del termine, io non sopporto la violenza!) dovrebbero essere comuni.
Sarei contento di essere smentito da orde di insegnanti inferociti che mi insultano via smartphone dalle scuole occupate…

(vignetta del disegnatore Luigi Alfieri)

giovedì 22 novembre 2012

LA SCRITTURA

Mi piacciono le storie. Mi sono sempre piaciute.
Fin da quando avevo 5 anni e mia mamma mi ha letto Pinocchio a puntate, un capitolo ogni sera.
Il mio primo libro “da grandi”!
Probabilmente non immaginava il danno che stava facendo. Non si rendeva conto che mi stava piantando nel cervello un seme, creava un pericoloso precedente, lanciava una sorta di "fascinatura" (termine dialettale per descrivere il “malocchio” fatto dalle streghe), che mi è rimasta attaccata addosso e non mi ha mollato più.
Non ho complicate descrizioni: per me la scrittura è raccontare storie.
In primo luogo a me stesso, perché mentre scrivo ascolto io per primo la storia che la mente mi racconta.
Quando si prova un bella emozione si ha voglia di condividerla con gli altri, non è così? E mettere la storia in un libro è un ottimo modo per condividere le storie, non trovate?
Per questo scrivo; per questo provo a pubblicare quello che scrivo.
E l’abilità tecnica? La padronanza della grammatica, l’ortografia, la scelta dei vocaboli, lo stile? Che posto occupano in tutto questo? Davvero, come dicono alcuni, non sono poi così fondamentali?
Beh, se si vuole che la storia funzioni, che catturi fino in fondo chi ascolta, deve essere raccontata bene, senza intoppi, senza errori. Gli errori ammazzano la magia del racconto e noi non vogliamo che si perda neanche un pizzico della magia, non è vero?
“No, non tu! Fai raccontare alla mamma che è più brava!”
Il libro di Pinocchio si apriva; il mondo si fermava e poi spariva; la “fascinatura” faceva effetto e io diventavo di legno e correvo a perdifiato, inseguito dagli incappucciati, per non essere impiccato all’albero, con le monete d’oro zecchino nascoste sotto la lingua.
Mi piacciono le storie. Mi sono sempre piaciute.
Non c’è niente di meglio che raccontare una bella storia…


... era un notte buia e tempestosa...


martedì 20 novembre 2012

Leggere ebook in treno (o almeno provarci...)

Scena: lo scompartimento affollato di un (lurido, ma che ve lo dico a fare?) treno italiano.
Un tizio con i jeans e una giacca sportiva cerca di estraniarsi dal mondo circostante immergendosi nella lettura di un romanzo sul suo lettore di ebook. Per la cronaca il romanzo non è un gran che, ma questo non c’entra con la storia.
Stazione di Foggia. Scendono un paio di persone, sembra quasi che si possa respirare, invece i tre posti liberi vengono subito presi d’assalto da un simpatico trio: marito e moglie, piuttosto giovani, con mamma di lei al seguito.
Problema: nessuno dei tre pesa meno di una tonnellata e ognuno dei tre trascina faticosamente a rimorchio una valigia che, viste le dimensioni, contiene con ogni probabilità un cadavere, oppure una BMW in kit da montaggio.
Scusi qua, riscusi di là, piede pestato, testa abbassata all’ultimo momento per schivare lo spigolo di uno dei valigioni, issati in qualche modo sulla rastrelliera porta bagagli. Infine i tre incastrano i loro sederoni nello spazio limitato dei sedili, piazzano i gomiti sui braccioli, colonizzandoli, e cominciano a sventolarsi, tutti affannati e sudati.
Il tizio coi jeans ora è seduto in mezzo tra le due donnone e sembra una sottiletta in mezzo a due mezze pagnotte di pane pugliese. Ha lui stesso, per contrasto, l’impressione di essersi rimpicciolito.
Chiacchiere a 1000.
Tutti - compresi i viaggiatori degli scompartimenti vicini e quelli che stazionano nel corridoio - devono sapere dove è diretto il trio, perché sta viaggiando, il caldo che fa a Foggia, il costo vergognoso delle bottigliette di acqua minerale in stazione e quanto è stato gentile lo zio Antonio a accompagnarli in macchina che sennò facevano tardi.
Calma. Ci vuole calma e sangue freddo, calma. Chissà perché il ritornello della canzone di Luca Dirisio comincia a girare ossessivamente nella mente del tizio-sottiletta.
E’ giusto precisare che il tipo, da buon timido, è poco incline alle conoscenze occasionali e, da buon orso, è assolutamente refrattario alle chiacchiere fini a se stesse, utilizzate come riempitivo per far trascorrere il tempo. Se non c’è niente di interessante da dire allora che silenzio sia. Il tipo adora il silenzio. Il silenzio è la condizione perfetta per fare le cose che gli piacciono di più e cioè leggere, scrivere e un’altra cosa che, a dire il vero, da un certo punto in poi non dovrebbe svolgersi proprio in assoluto silenzio, sennò vuol dire che non sta venendo tanto bene.
Ma anche questo è un discorso che non c’entra con la storia.
Il tizio tenta di mettere a frutto la classica tecnica utilizzata dall’orso in questi casi (no, non mi riferisco al grattarsi le schiena contro il tronco degli alberi!). Prova cioè a immergersi nella lettura, fingendo di essere così preso da quello che legge da non sentire le conversazioni circostanti, in cui l’esuberante trio cerca di coinvolgere il mondo intero.
Peccato che il lettore sia sprovvisto del baluardo naturale dietro cui trincerarsi e cioè il libro. Il libro ha un effetto respingente sul non lettore. Tipo kriptonite con Superman. Al massimo l’interlocutore accenna un: “Com’è? Bello?” indicando la copertina con un vago movimento del capo; al che il lettore può rispondere laconicamente una cosa tipo: “Abbastanza”, oppure “Sì, non c’è male” e la faccenda, di solito, finisce lì.
Il lettore di ebook, invece, non solo non mette il tizio coi jeans al riparo dall’assalto delle chiacchiere ma, al contrario, le attira.
“Certo che a lei ci piace ciattare!” sorride la balena più anziana alla sua destra.
“Non è un aifòn, cos’è, un galacsi?” si informa subito il genero, seduto di fronte, che impugna, diciamo pure brandisce, l’ultimo modello di telefono melamozzicato e sembra già pronto a una sigolar tenzone sul tema: il mio smartphone è più figo del tuo. Insomma, l’ennesima rielaborazione in chiave tecnologia della più tradizionale delle diatribe tra maschi: io ce l’ho più lungo del tuo!
“Non è un telefono…” prova a ribattere l’orso-lettore.
“E’ un tablet! Ignoranti!” li redarguisce la balena di sinistra, che vuol far vedere di saperla lunga.
“No… non è neanche un tablet…”
Momento di silenzio. Sbandamento. Se non è uno smartphone e non è un tablet… Cos’altro esiste al mondo che si possa tenere tra le mani guardandoci dentro?
“Un videogioco?” chiede speranzoso un ragazzetto che si affaccia dal corridoio.
Ormai siamo al dibattito pubblico. L’orso sospira.
“E’ un lettore di ebook”.
Come se non avesse parlato. Tutti continuano a fissarlo. Per la serie: spiega che non si è capito una cippa.
L’orso continua a ripetere nella mente il suo improvvisato mantra-pop: calma, ci vuole calma e sangue freddo, calma.
“Serve a leggere i libri”.
Delusione palpabile. Perplessità.
“Ahhhh!”
“Ah ecco…”
“… i libri!”
L’orso spera di avere chiuso la partita. Identificato l’oggetto come “libro” ora dovrebbe scattare l’effetto kriptonite. Invece no.
“Cioè lì dentro ci sta tutto un libro?” chiede la balena anziana.
“Veramente ce ne possono stare centinaia, volendo” si lascia scappare l’orso.
“Davvero?”. Incredulità mal dissimulata.
“Ma si possono vedere anche i film?” chiede la balena di sinistra.
“Fa le telefonate?” chiede il marito, che non sembra avere altro dio all’infuori del cellulare.
“Ce l’hai Supermario?” chiede il ragazzino nel corridoio che ormai si sente parte dello scompartimento.
L’orso è chiuso nell'angolo, non ha dove scappare.
“No, questo è un Kindle…”
“Un Kinder?”, chiede un’altra passeggera, che una mezz’ora prima ha scartato e sbocconcellato una merendina, che adesso gli deve essere andata in circolo annebbiandole i neuroni.
“No… Kindle! E’ il nome del lettore di ebook… E’ un modello base, di quelli che servono solo a leggere i libri”.
“Legge solo i libri?” ripete esterrefatto l’uomo aifòn.
“Ma non si stanca gli occhi tutto il tempo sullo schermo del computer? “ si informa mamma balena.
“No signora. Lo schermo è diverso da quello dei computer e non stanca la vista”.
“Come diverso…”
“I computer hanno lo schermo illuminato. Questo invece no”.
“E come fa a vedersi allora?” chiede dubbioso Mr Apple, già pronto a disquisire di schermi Retina.
L’orso non è un esperto di tecnologie innovative. Ha solo una vaga idea di come funzioni l’aggeggio. A lui interessa leggere, non gli frega di questioni tecniche. Messo alle strette è costretto a tentare di spiegare quel poco che ha capito.
“Ha un sistema di inchiostro elettronico, se così vogliamo dire. Quando si preme un pulsante lo schermo viene attraversato da una piccola scarica elettrica che polarizza questo inchiostro e gli fa riprodurre una pagina scritta…”
“Quando si preme un tasto?” si scandalizza il devoto di Cupertino, “Cioè non è tàch?”
“Questo modello no. Preferisco i tasti, così lo schermo si sporca di meno”.
“ E così lei passa il viaggio a leggere!” si stupisce la balena di sinistra, come se il tizio coi jeans passasse il viaggio a coltivare funghi nelle scarpe da ginnastica.
“Vorrei…” mormora questi, triste, guardando fuori da finestrino, “Invece sono arrivato e non ho neanche finito il capitolo…”.
Spegne il Kindle, recupera il suo piccolo trolley, saluta e esce dallo scompartimento.
Il treno entra nella stazione. Si ferma. Il tizio sembra seguire la marea di passeggeri che scendono, ma all’ultimo momento, inaspettatamente, salta la porta di uscita, attraversa le porte che separano i vagoni e prosegue in quello successivo. Che è strapieno, ma il tizio lo dava per scontato.
Adocchiato uno strapuntino in corridoio lo apre, ci si sistema sopra in qualche modo, e tira di nuovo fuori il lettore di ebook. In realtà, infatti, mancano ancora tre ora prima della sua stazione di arrivo.
Scomodo, ma finalmente rilassato, si immerge nella lettura.
Passa un quarto d’ora, ma poi…
“Certo che a lei ci piace ciattare…”
Con uno straniante senso di dejà vu il tizio col Kindle alza la testa. Nello scompartimento di fronte a lui, sul sedile più vicino al corridoio, è seduta una signora non più giovanissima che, però, con ogni evidenza, rifiuta cocciutamente di arrendersi al tempo che passa. Molto trucco, molto colore, un paio di “ritocchini” a zigomi e palpebre, due maestose borse di silicone sopra la cassa toracica.
Il tizio è tentato di rispondere, istintivamente, che non sta chattando. Ma all’ultimo momento si morsica la lingua. Riflette un istante e poi risponde, con la voce più sottile e cinguettante che riesce a produrre:
“Oh sì… non riesco a stare neanche un’ora senza chiacchierare col mio ragazzo!”
La signora perde all’istante ogni interesse e si volta a guardare il paesaggio.
Due uomini di mezza età che vicino a lui, nel corridoio, stavano animatamente discutendo di pallone, si allontanano come per caso di un paio di passi.
L’orso-lettore esulta. Finalmente ce l’ha fatta a creare intorno a sé un po’ di sano spazio vitale.
Soddisfatto sta per reimmergersi nella lettura quando, come dal nulla, compare un ragazzotto coi capelli ossigenati, una pashmina sui toni del viola e gli occhi segnati con l’eyeliner che, sbattendo le ciglia con aria d’intesa, chiede:
“Ma non è un aifòn, cos’è, un galacsi?”


COME NON USARE IL LETTORE DI EBOOK
(dal sito http//:singloids.com)

mercoledì 24 ottobre 2012

SENZA TE

Come farò senza di te amore?
Come farò senza la tua voce armoniosa che mi urla di non poggiare i piedi sul tavolinetto del salotto, di non lasciare le calze in giro, di non aprirmi una birra prima di cena, di cambiarmi la canottiera, di spegnere la sigaretta, di accendere la lavastoviglie, di andare a buttare la spazzatura, di cambiale canale che la partita è una palla e di là c’è il Festivalbar?
Come farò?
Al solo pensiero….
Al solo pensiero mi viene da esultare così forte che ho paura che mi scoppi una vena!




EVVAIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!

mercoledì 17 ottobre 2012

Vorrei che tu venissi

Vorrei che tu venissi…
Che finisse questa attesa, che si sciogliesse la tensione, che  finalmente  tutto fosse compiuto.
Vorrei che tu venissi…
Che la notte digradasse al giorno, che le stelle lasciassero spazio al sole, che l’alba ci ritrovasse addormentati…
Vorrei che tu venissi…
Che non fosse più ansia, più incertezza, più paura…
Vorrei che tu venissi…
Invece, porca miseria, hai visto?
Anche stavolta sono venuto prima io!


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...lo so cosa state pensando ma no, NON si tratta di un pezzo autobiografico :-))))


Per quelli che hanno questo tipo di problemi: suggerimento su come ricordarsi come si chiama, la mattina dopo...

lunedì 17 settembre 2012

Case Editrici a pagamento.

Case Editrici a pagamento. Una contraddizione in termini. 
Oggi ho la fortuna di pubblicare con editori seri, ma in passato ho ricevuto e scartato molte proposte "indecenti", per cui è un argomento di cui posso scrivere con cognizione di causa. L'occasione per tornare sul tema è stato uno scambio di mail con un amico, aspirante scrittore, reduce da una cocente delusione (sperava di essere a un passo dalla pubblicazione del suo primo romanzo, e invece...). Mi è dispiaciuto e mi è tornata la rabbia.
E siccome a volte un racconto è più efficace di una discussione...

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La mail occhieggia languida e invitante.
Resti lì a leggerne e rileggerne l’oggetto, senza il coraggio di aprirla, a bocca aperta, come neanche davanti alle foto di Pamela Anderson.
Perché tu sei uno scrittore (vabbè, insomma, non è che hai mai pubblicato niente, ma adori scrivere, hai scritto ben due, dico DUE romanzi per cui, sì, nei tuoi sogni sei già un po’ collega di Camilleri) e la mail proviene nientepopodimenoche da un editore. Meglio ancora: è la risposta di un editore a una tua mail con la quale gli hai mandato in visione uno dei tuoi romanzi.
Ti avevano detto che gli editori ci mettono mesi e mesi prima di leggere quello che ricevono e che, se il libro non gli interessa, non rispondono nemmeno: lo cestinano e basta.
Per cui, se invece ti hanno risposto… e ti hanno risposto così presto… allora… forse…
Anche se cerchi di tenere brutalmente a freno la fantasia, nella mente passano fulminee immagini di te seduto sulla poltrona delle interviste dell’ultimo programma TV di Fazio, mentre disquisisci con distaccata ironia del tuo formidabile romanzo di esordio, vero caso letterario del secolo; di te che butti giù un sorso di liquore Strega direttamente dalla bottiglia, come tradizione dei vincitori dell’omonimo Premio Letterario; di te che ti fai bello a una presentazione del tuo libro con alcune giovani lettrici adoranti; di te che una di quelle giovani lettrici adoranti te la rimorchi, la porti in un motel e…
GLOM! (ingoi a vuoto).
Forza, non si può più aspettare. Cerchi di convincerti che tanto non sarà niente, tanto sarà un rifiuto, tanto… (temi una bruciantissima delusione).
Doppio clic! Si apre la benedetta mail.
Gli occhi si sgranano all’infinito, diventando grandi come due sottobicchieri di peltro, mentre fioriscono davanti a te le esatte parole che hai sempre sognato di leggere: “Gentilissimo autore”; “… i nostri più vivi complimenti… “; “… opera di rara originalità…”; “…stile personale ed efficace…”; “…plot intrigante e avvincente…”; “… grandi prospettive…”; “…fantastici destini…”; “… chi più ne ha più ne metta…”; “… e bla, bla, bla…”; “… e ancora bla…”.
Stai tremando. Non capisci neanche bene cosa dicono. Capisci solo che sono entusiasti del tuo romanzo.
Il tuo romanzo. Già… ma quale dei due gli hai mandato? In questo momento, emozionato come sei, non te lo ricordi. Hai spedito mail a diverse case editrici. Boh. Devi andare a controllare.
Apri la cartella della “posta inviata” con l’indicatore del mouse che ballonzola avanti e indietro secondo gli sghiribizzi della tua tremarella e individui finalmente la mail originale, alla quale hai allegato il testo mandato in visione.
Quale dei due? Hai mandato l’introspettivo e delicato “Inaspettate espettorazioni” o il potente e coraggioso “Storia di un vicecapufficio che non teme di fare alcune oculate critiche al suo superiore?”.
Ti blocchi interdetto. Perché il testo che hai allegato non ha né l’uno né l’altro titolo. Hai allegato invece un documento di Word dal titolo “Promemoria”. Resti come un ebete a fissare la mail. Promemoria? Porca paletta! Nella fretta, imbranato come sei col computer, invece di allegare il file di uno dei romanzi hai allegato un altro file contenuto nella cartella documenti! Ma di cosa si tratta? E’ forse un vecchio racconto che neppure ti ricordi di avere scritto? Oppure la bozza di un altro romanzo…
Spezzi finalmente l’immobilità. Doppio clic sull’allegato. Si apre un documento Word.
Lo riconosci subito: è il dettagliato promemoria in più pagine che, paranoico come sei, hai buttato giù l’estate di due anni fa prima del fine settimana a Parigi con tua moglie. Un promemoria pieno di ripetizioni e di errori di battitura in cui hai messo nero su bianco, in modo maniacale, da buon ansioso, tutto quello che dovevate portare, per paura di dimenticare qualcosa (“… quattro paia di mutande di ricambio…”; “… la crema per le emorroidi…”), e elencato i posti da visitare (“… mezza giornata al Louvre, che sennò mio cognato ci prende per il culo se non ci andiamo…”; “… una giornata a Eurodisney…”; “… non più di due ore alle Gallerie Lafayette, che sennò mia moglie si spende la liquidazione…”).
Diventi rosso fino alla radice dei capelli. Hai mandato alla casa editrice quella roba? E loro…
Torni precipitosamente alla mail che ti hanno mandato e allora, solo allora, la leggi con sufficiente lucidità, fino in fondo.
Ed ecco che, dopo la sfilza di salamelecchi, cominciano a dirti che, nonostante tu sia praticamente il nuovo Calvino resuscitato e tornato tra noi, la realtà del mondo editoriale italiano è difficile, la gente è brutta e cattiva, i lettori sono bastardi che non capiscono l’arte - mentre loro sono dei santi editori che lavorano non per profitto, ma per filantropia - ma, insomma, ecco, nella misura in cui, tra le righe, a prescindere, e bla, bla, bla e ancora bla, sono dispostissimi a pubblicarti e a lottare fino alla morte al tuo fianco a patto che anche tu dimostri “fattivamente” di credere in te stesso e nella tua arte, partecipando alle spese di pubblicazione con un modesto contributo che non è nemmeno il caso di quantificare in questa sede, che potrete concordare nella telefonata (a tuo carico) che è bene tu faccia immediatamente, senza frapporre indugio e che, comunque, non c’è alcun problema perché sono convenzionati con la Banca del Boccalone che eroga prestiti fino a diecimila euro anche ai pluripregiudicati protestati a cui siano state mozzate le mani in paesi islamici dove vige ancora la legge del Taglione.
Mentre i tuoi occhi, tornati piccoli come sfinteri anali di formica, leggono le ultime righe, le tue orecchie registrano un rumore di bilie che rotolano sul pavimento.
Non hai bisogno di girarti per sapere che sono le tue palle, cascate giù, con cui il gatto di casa gioca, facendole correre con la zampina lungo il corridoio…

CIOE' MI STATE DICENDO CHE VOI PRENDETE IL MIO LAVORO E CHE A PAGARE SONO IO???

venerdì 27 luglio 2012

La lettera delle royalties

L’ha tenuta sul comodino tutto il giorno.
L’ha presa in mano un paio di volte, poi l’ha rimessa giù. Senza aprirla.
E’ solo una lettera. Secondo le leggi della fisica è leggera. Secondo altre leggi, non scritte, è maledettamente pesante. Sa di cosa si tratta, la stava aspettando: è la lettera con cui la casa editrice gli comunica ufficialmente quante copie ha venduto l’anno precedente del romanzo che ha pubblicato e, di conseguenza, quanto gli spetta di royalties.
In pratica è la sua pagella. Quella che dirà, brutalmente, com’è andata la sua prima avventura editoriale al di là delle pacche sulle spalle degli amici e delle lodi preconfezionate dell’editore; al di là delle due o tre recensioni non malvagie collezionate su internet e della manciata di lettori che hanno aggiunto il suo libro sui siti per appassionati di lettura.
Lo sa benissimo, lo ha capito che il suo piccolo romanzo d’esordio, che gli è costato ansia e fatica, non ha certo fatto il “botto”. Come ampiamente prevedibile è stato solo uno dei tanti romanzi sfornati e triturati dalla bulimica macchina editoriale nazionale che, nonostante pianga perenne miseria, riversa ogni anno sul mercato migliaia di titoli che, bene che vada, restano nelle librerie per lo spazio del ritorno delle mestruazioni di sua moglie e vendono, il più delle volte, un numero di copie persino inferiore al numero degli amici e dei parenti più prossimi dello scrittore.
In pratica qualche cugino, bastardo, il libro fa solo finta di leggerlo.
Del resto è consapevole che il “genere” del suo romanzo non è di quelli che fanno sfracelli in termini di vendite. Non si tratta, infatti, né di un trillerone in salsa di serial killer né di una storiacchiona infarcita di misteri e di Templari. Più banalmente è l’ennesimo romanzo di formazione che parla dell’infanzia sfigata di un ragazzino timido, figlio della piccola borghesia, in una città di provincia.
Preso atto e accettato che di “piccolo cabotaggio” si tratta, non gli resta che sperare si tratti di un piccolo cabotaggio dignitoso. L’editore (uno - incredibile ma vero - che non gli ha chiesto soldi sottobanco) gli ha fatto capire che riterrebbe un successo esaurire la prima tiratura di mille copie, ma che per rientrare dalle spese basterebbe venderne 300, meglio magari 350.
Fino a ieri diceva a se stesso che si sarebbe ritenuto soddisfatto di raggiungere quota 500. Gli sembrava un bel risultato, paragonato alle vendite medie degli autori che pubblicano con un piccolo editore. Oggi, con la busta che lo aspetta pazientemente sopra il comodino, silenziosa e infida, gli pare che anche 300 copie andrebbero bene. Magari anche 250. Magari pure 200, che poi nel corso del prossimo anno se ne potrebbero vendere delle altre e…
L’orologio segna le 22,00. Si mette il pigiama, va in bagno, si lava i denti.
Infine eccolo lì. Seduto sul bordo del letto. Non si può più aspettare.
Una volta deciso, prende la lettera con improvvisa frenesia. La straccia con mani non molto ferme e tira fuori l’unico foglietto che contiene. E’ ripiegato in tre. Lo apre piano, si può dire che lo “spizza” come il giocatore di poker che scopre poco per volta le carte che ha ricevuto in sorte.
Legge il numero. Gli cadono le braccia. Lo rilegge di nuovo. Forse non è quello giusto… Forse…
No. E’ proprio il numero giusto. C’è scritto 98.
Nel corso del primo anno di pubblicazione ha venduto 98 copie del suo romanzo. Neanche 100. Non è neanche arrivato a fare “conto tondo”. Porca miseria! A saperlo se le sarebbe comprate lui, di tasca sua quelle 2 maledette copie mancanti.
Quanto sono gli amici e i parenti? Non ha una famiglia molto numerosa. Non ha un gran giro di amici (mai come in questo momento vorrebbe essere uno di quei tipi estroversi che conoscono mezzo mondo, invece che il classico timido che frequenta la stessa cerchia di persone da una vita). Un paio di volte si è messo a fare il conto. Diciamo che amici e parenti avranno comprato un’ottantina di volumi?
Insomma. Il suo libro, in libreria, ha venduto sì e no quindici copie.
Eccolo qua, nero su bianco. L’ennesimo esordiente senza fortuna. Uno dei tanti. Né meglio né peggio della maggior parte degli altri. Se si trattasse di una pagella scolastica sua mamma lo prenderebbe per le orecchie e gli direbbe che se lo può scordare il motorino.
Continua a scorrere il foglio. A questo punto il bicchiere bisogna berlo fino in fondo. Legge così anche l’ammontare delle “famose” royalties. Gli viene fuori una risatina involontaria, una specie di pernacchia tra le labbra. Con quella cifra farà fatica a portare sua moglie a fare una pizza.
In quel mentre lei entra nella stanza. Anche lei in pigiama, struccata, pronta per andare a dormire.
Le basta uno sguardo.
Non dice niente. Si infila nel letto. Lui poggia la lettera; a sua volta si mette giù. Spegne la luce sul comodino. La stanza casca nel buio.
<Vieni qua…> mormora lei.
Lui ci va. Lei lo abbraccia e lo tiene stretto.
<Non mollare. Vedrai che il prossimo andrà meglio, sono sicura!>
Lui non è altrettanto sicuro. Nonostante ciò lo sa che non mollerà. Non ha dubbi su questo. Non mollerà perché scrivere gli piace, perché scrivere è importante, perché lo ha fatto per anni anche solo per se stesso, anche quando un editore non ce l’aveva. Non mollerà perché le storie da raccontare non gli mancano e le parole neppure, perché è sempre piena di parole quella sua testa un po’ spelacchiata che ora sua moglie accarezza con dita leggere. Scriverà perché il mondo così com’è non gli basta e non gli basterà mai e ha bisogno di masticarlo, digerirlo e risputarlo nel modo in cui sanno fare (bene, male, abbastanza bene) le sue dita sui tasti di una tastiera.
Sì. Il prossimo andrà meglio. Ha già una bellissima trama in testa.
Sua moglie lo bacia. Ha le labbra calde. Le mani si muovono a memoria. I corpi conoscono le regole.
Grazie amore mio per questo amore fatto con amore.
Sì…
Fanculo al mondo!
Il prossimo romanzo sarà bellissimo!


P. S.

questo pezzo non è strettamente autobiografico (per fortuna il mio primo romanzo il primo anno ha venduto un po' più di 98 copie) ma lo stesso, in qualche misura, parla anche di me; diciamo che ogni scrittore non famoso ci si può riconoscere :-)


"QUANTO GLI DIAMO A 'STO FREGNONE DI SCRITTORE? UN FIORINO?"

venerdì 6 luglio 2012

Romanzi & coliche.

Ho in testa una bellissima storia.
E’ lì da quasi un anno, nel corso del quale è cresciuta, poco per volta, come una piantina, come un cucciolo, come gli interessi del mutuo, e ora sta seduta in un angolo e spesso neanche mi accorgo che c’è; poi all’improvviso, nel bel mezzo di un altro pensiero, mi torna in mente e allora la riguardo con affetto e mi sento insieme bene e male. Bene perché è come avere un piccolo tesoro in banca a cui sai che potrai attingere; male perché la storia ormai è abbastanza cresciuta e sarebbe arrivato il momento di metterla nero su bianco, di darle una forma, e invece non trovo il tempo, perché il poco che riesco a dedicare alla scrittura è sempre riservato a altro: ci sono le bozze di un precedente lavoro da rivedere, c’è un racconto da scrivere per un concorso, c’è il blog da aggiornare, c’è una recensione da abbozzare.
Una storia come quella che ho in testa non si può scrivere nei ritagli di tempo, richiede un periodo tutto per sé, bisogna dedicarle la giusta attenzione, immergersi nella trama, seguirla, svilupparla con la necessaria regolarità.
Cerco di tranquillizzarmi ripetendomi che non devo avere fretta, che prima o poi troverò il modo di scriverla, ma intanto mi vengono pensieri assurdi, demenziali, del tipo: e se morissi stanotte nel sonno? E se prendessi un colpo in testa e mi svegliassi con la memoria azzerata? E se l’Italia finisse sotto una dittatura che vieta la pubblicazione di qualsiasi libro tranne quelli con cui Bruno Vespa tesse le lodi del Grande Dittatore?
Scrivere è così: una mediazione dolorosa tra l’effervescenza della mente che immagina a profusione e la stitichezza della mano che traduce faticosamente l’idea in fogli scritti. E la stitichezza e tanto più ostinata quanto più la vita dello scrittore è occupata da mille altri impegni, primo fra tutti quello di procurarsi da vivere, visto che di scrittura non campa quasi nessuno.
Certe volte mi prende l’angoscia e mi convinco che non riuscirò più a scrivere un romanzo, che sarò destinato in futuro a “espellere” al massimo qualche racconto e qualche frettoloso post su internet. Invece poi succede di nuovo; in qualche modo miracoloso la storia si alza dall’angolo della mente in cui è stata seduta per tanto tempo e comincia a venire fuori dalle dita. Per vie misteriose trovo le ore in cui portare avanti il lento lavoro del romanzo, spesso rubandole a altro, perché non ci sono alternative: il giorno non si può dilatare come un palloncino che gonfi d’aria.
Da un lato i sensi di colpa, dall’altro l’urgenza di "evacuare" finalmente la storia.
Sì lo so che non è elegante la metafora del romanzo/colica e che sarebbe stato più poetico usare l’abusata metafora del romanzo/parto, ma rende bene l’idea: con la stessa urgenza con cui la colica deve “sfogare” anche il romanzo deve per forza venire alla luce. Sennò la bella storia diventa una dolorosa fissazione, il piccolo tesoro tenuto da parte diventa un pesante debito da pagare.
Decisamente è arrivato il momento. Dovrò assolutamente trovare il modo di liberarmi di questa storia. E sapete perché?
Perché nel frattempo me ne sta già venendo in mente un’altra bellissima!



Giovane scrittore intento a "liberarsi" dalle sue storie.

lunedì 18 giugno 2012

La Nazionale

Una volta mi piaceva molto il calcio.
Sono sempre stato una “pippa” a giocare, ma da ragazzo mi piaceva guardare le partite, anche le più stupide, facevo il tifo con passione, mi accaloravo, ci stavo male quando si perdeva e potevo discutere per ore con menti bacate come la mia di tattiche, formazioni e altre amenità del genere.
Poi sono successe tre cose: a) sono cresciuto; b) i calciatori si sono trasformati da atleti che calciano una palla a superstar infarcite di soldi che popolano i tabloid; c) sono arrivati i vari scandali su partite truccate e imbrogli vari.
E il calcio è precipitato nella classifica dei miei interessi.
Ogni tanto guardo ancora le partite. Se lo chiedete a mia moglie dirà probabilmente che ne guardo “un sacco”, perché a lei il calcio fa schifo e si innervosisce quando occupo il televisore, ma in tutta coscienza non credo che una media di un paio di partite al mese possa definirsi “un sacco di partite”.
A testimonianza di come la mia passione sia drasticamente calata non ho nessuna TV a pagamento e vedo solo le partite che trasmettono alle TV dei poveri, cioè sulla RAI o su Mediset.
Però…
Però c’è un però.
E questo però sono i campionati del mondo o i campionati d’Europa quando gioca la Nazionale.
In queste occasioni torna a galla qualcosa di nascosto, di sepolto sotto strati di disillusione e di stanchezza.
In queste occasioni, quando suona l’inno nazionale e la telecamera fa la carrellata sulla faccia beota dei nostri ragazzotti in mutande (firmate), torno a sentire qualche farfalla nello stomaco.
In queste occasioni, per lo spazio di due tempi da 45 minuti l’orologio biologico va indietro e io ho di nuovo gli anni del liceo e può capitare che dica delle cose che è meglio che i miei figli non memorizzino.
In quelle occasioni mia moglie mi guarda scuotendo la testa, con quel misto di pena e tenerezza che si prova per i mariti mentecatti.
Ma non importa.
Datemi una bandiera e un sacchetto di vecchie illusioni e non telefonate.
Se volete parlare con Silvio adulto siete pregati di chiamare dopo la fine della partita!

Per quelli della mia generazione: "LA" Nazionale per eccellenza!



mercoledì 23 maggio 2012

OI DIALOGOI (brevi dialoghi illuminanti)

I dialoghi.
Vi è mai capitato di captare in un bar, nel treno, per strada, un brandello di conversazione, magari un paio di battute soltanto, e di trovarle illuminanti, nel senso che quel poco che avete sentito basta e avanza a capire il tenore dell’intera conversazione e magari anche la personalità di chi sta parlando?
Interi racconti condensati in due o tre frasi.
E questo vale, naturalmente, anche quando si parla di libri…

***

Dialogo #1  (per la serie: ma “scrittore” è un mestiere?)
“Che fai nella vita?”
“Scrivo romanzi”
“No, intendevo di lavoro, che fai nella vita?”
“Te l’ho detto, scrivo romanzi”
“Quindi tua moglie lavora per tutti e due…”

Dialogo #2  (per la serie: in treno mi metto a leggere così non mi rompe nessuno)
“Ciao io sò Marco”
“Ciao sono Antonella”
“Vedo che stai a leggere…”
“Sì, è la mia passione”
 “Ma dimme un po’, oltre a leggere fai anche qualcosa di divertente nella vita?”

Dialogo #3  (per la serie: le mamme non ti prendono mai molto sul serio)
“E basta, chiudi quel computer e vieni a tavola!”
“Ma mamma: sto scrivendo!”
“Ma che scrivendo e scrivendo, che la frittata si fredda!”

Dialogo #4  (per la serie: fini intellettuali a confronto)
“Non trovi che il mio ultimo romanzo sia pervaso da un alone kafkiano?”
“E tu non trovi che il mio abbia la complessità di un opera proustiana?”
“Sì ma il mio…”
“Beh, anche il mio…”
“I signori scusino se interrompo: gradite il rognone con le cotiche dopo la coda alla vaccinara?”
“Ovvio, cazzo!”

Dialogo #5  (per la serie: ma sei sicuro che volevi invitare a cena proprio me?)
“Hai letto il nuovo libro di Roth?”
“Il terzino del Bayern?”

Dialogo #6  (per la serie: l’inglese, questo unknown)
“Ti vedo strano, sembri assente…”
“Scusa, è che ho in testa questo plot che…”
“Oh Signore! Ma hai già fatto la risonanza magnetica?”

Dialogo #7  (per la serie: nutrirsi di cultura)
“E ora, al termine della presentazione, l’autore è a disposizione per le domande del pubblico!”
“…”
“…”
“Ehm… chi vuol rompere il ghiaccio?”
“Io!”
“Perfetto: cosa voleva chiedere?”
“Quando comincia il buffet?”

Dialogo #8  (per la serie: segreti difesi con le unghie e coi denti)
“E ora, per chiudere l’intervista, posso chiederle quante copie ha venduto del suo ultimo romanzo?”
“Ehm… vi ho mai raccontato del figlio segreto che ho avuto con la Regina d’Inghilterra?”

Dialogo #9  (per la serie: grandissima considerazione dei propri mezzi)
“Ho letto il suo romanzo. L’ho trovato noioso, sciatto, volgare, pieno di refusi e pretenzioso”
“Ma a parte questi dettagli le è piaciuto?”

Dialogo #10  (per la serie: biografie di sportivi famosi)
“Lei è il mio calciatore preferito! Me lo fa l’autografo sul libro?”
“Mi spiace, non so scrivere. Le faccio una rovesciata? Va bene lo stesso?”


Esempio di illuminante dialogo telematico!